cultura

Enciclopedia del Territorio

Enciclopedia del territorio

Riportiamo qui di seguito le testimonianze di più di 140 anziani residenti nei territori montani, nei Comuni limitrofi a Valfornace.
La loro memoria costituisce un importante giacimento di conoscenze per le future generazioni.
Infatti, dallo studio di queste interviste si evince l’esistenza di una fitta e ricca retee di relazioni, scambi di informazioni, di sementi e di conoscenze e competenze, diremmo oggi, che attuano in pieno le condizioni richieste affinché, come dimostrato nel saggio “I saperi tradizionali come scienze del territorio”, che riportiamo nella sezione dei Documenti, i comportamenti codificati nel corso delle generazioni dalle popolazioni residenti in un determinato territorio risultino stratgie efficaci di Sviluppo Sostnibile, che, come sappiamo, ha una valenza sostanzialmente locale.

S.A, di anni 81, racconta: “..La strada che portava al Ragnolo si faceva con le tregghie. Si somentava tutta la montagna. Sul Ragnolo si coltivava il grano (la Romanella), l’orzo, il moco, l’orzola, la roveglia (si seminava a marzo aprile) e la segola. Si partiva dal paese alle 3 della mattina per andare sul Ragnolo con le bestie…”

M. V. di anni 79: “…La reveglia si dava solo agli animali…Il Monte Ragnolo era quasi tutto coltivabile. Le colture erano messe a rotazione tre anni per tre anni. Alla primavera di Marzo con le vacche si arava con l’aratro di legno (si faceva la maggese) si lasciava riposare e nel mese di giugno si ripassava, ad agosto si seminava il grano a mano. Il grano che si seminava lo si lasciava dalla raccolta precedente. Il grano era detto la Romanella…”…“…di mele ce n’erano tante: Rosa, Ruzza, Canuta, Finnisella, Francona (innesto fra la Ruzza e la Rosa). Gli altri frutti che si trovavano erano le nespole, le ciliegie, i fichi bianchi…”

F.C. di anni 79 racconta: “…Si piantava anche l’uva quassù. Abbiamo sfasciato una botte da sei quintali. C’era una vigna che stava sotto la chiesa e ci veniva il vino migliore perché era da sole. Dalla toscana portarono una qualità d’uva che il vino veniva frizzantino. Si piantava soprattutto l’uva “vissanello”, poi il “zibibbo”, l’uva “pizzuta”, quella nera… Si coltivava anche la canapa. Se ne lasciava un pezzetto per il seme e da ragazzo ci andavo a prendere gli uccelletti con la fionda. La canapa non si metteva a macerare, ma si faceva solo seccare poi si passava sulla macenga… che gli levava l’anima legnosa. Anche mia moglie c’ha fatto le lenzuola. Sui pezzi di terreno più buoni si facevano le canapine, dove non c’erano molti sassi….Il “nocchio” era il più buono e con il “pinicchio” ci facevano i sacchi e le corde…”

V. E. di anni 77: “…quando andavamo a lavorare sul Monte Cardosa era dura anche perché si raccoglieva poco. Si seminava tutta la montagna, si arava con le bestie. Il grano si trebbiava (si separavano i chicchi dei ceriali dalla pula e dalla paglia) con i muli. A luglio si mieteva, ad agosto si faceva l’ara per trebbiare con i muli e poi si ventulava ( si prendeva il grano con una cesta chiamata vegliaro si aspettava il vento e si ventulava il grano rimaneva nella cesta, la pula la portava via il vento). Sul Monte ci sono una diecina di aie (terreno battuto o lastricato) dove il grano veniva trebbiato fatte con le pietre. La prima aratura si faceva il 1 maggio, a settembre si seminava. I campi per la coltivazione si mettevano a rotazione quelli che non venivano seminato comunque si lavoravano e si concimavano. Il grano si raccoglieva a luglio nell’altra vicenda (rotazione delle colture). Erano due montagne dove si alternavano le colture. Dopo la mietitura si facevano i cavalletti…La canapa si metteva di fronte casa mia, per questo la località si chiama Canepine. Le donne in inverno battevano la canapa con la macingola per poi la filarla. Quando filavano le donne per farsi venire più saliva in bocca mangiavano gli schianci (mela selvatica, per conservarla si infilavano le fette su un filo) e i grugnali (cornioli, per conservarli si seccavano sul forno)…il grano si seminava sul Monte Cardosa si preparava il terreno arandolo (maggese) con l’aratro per due mesi partendo dal 1 maggio. La quantità di grano raccolto era su due quintali di semina se ne raccoglievano 15 quintali circa. Si seminavano le due montagne Cardosa e Paiano oltre che con il grano con la roveia e la lenticchia. Il fieno lo facevamo sui Prati di Santa Lucia. Il grano si portava a casa con le slitte o tregghie e poi si ripartiva verso la montagna. Sulle aie si divideva il grano dalla paglia con i muli. Tre o quattro muli erano tenuti con delle corde da un uomo che stava nel mezzo dell’aia che li teneva sull’aia. I muli giravano sopra al grano in tondo battendolo. La trebbiatura veniva finita battendo il grano dagli uomini con i mazzafrusti (strumento avente due bastoni attaccati con una corda nel mezzo). Questo strumento veniva utilizzato anche da chi non aveva i muli. Per riportare a casa il grano si caricava sulle tregghie o sui muli, dopo averlo fasciato con dei lenzuoli bianchi…”

C. G. di anni 50: “…si coltivava la canapa sotto la fonte vecchia…si piantavano la roveia, il farro, la cicerchia, i mochi…La mela roscetta…”

S. U. di anni 84: “…Qui nella zona coltivavamo un po’ di grano, il moco per i piccioni, la lenticchia e la roveglia…Qui era tutta una vigna…La varietà di uva era la vissanella…Il vino qui era agro e lo facevamo crudo e cotto…Facevamo anche l’”acquarello” per le castagne ma questo, se era buono, durava pochi giorni (altrimenti nemmeno quelli)..Quando pestavi l’uva poi le cortecce le buttavi nell’acqua che si addolciva un po’ ma era acqua. Un po’ torbida e un po’ dolcetta ma acqua…”

R. F. di anni 76: “…in montagna alla piana di Castelluccio si seminava il farro e una varietà di grano chiamata la Romanella, mentre a Valleinfante si metteva il Frasineto. Le patate prima non erano come quelle di oggi ma con tante protuberanze. Si metteva la roveia (ci si faceva una polenta chiamata la pesata)e i mochi…I mochi si davano a piccioni e agnelli, mentre non si potevano dare ai maiali. La segale ancora la metto in montagna in località San Lorenzo vicino alla Fonte…Il giorno di San Giovanni si seminano i fagioli (varietà dalla forma allungata), mentre per Pasqua con la luna calante si semina la lenticchia e la fava si piantava nel mese di novembre con la luna scura. Attualmente metto nell’orto i ceci pizzuti. Le cipolle si mettevano ad Aprile. Prima per battere il grano pulivamo un prato con le scope, vi mettevamo il grano battuto, vi facevamo girare i muli, si ventulava e si riportava a casa con i muli…Le varietà locali di mele erano: la mela cotogna, la limoncella e la mela rosa…”
M. M. di anni 100: “…Qui si coltivavano il grano, il granturco, le patate..Il farro si metteva sulla montagna a San Lorenzo..Anche la lenticchia si metteva nella zona della Cona..Anche la canapa si metteva. Quando che era maturata la “macingolavano con un attrezzo che la sfibrava tutta..Poi facevano tutti mazzetti, i “pinicchi”. Poi c’era un pettine apposta che gli portava via tutti quei pezzetti di legno che noi chiamavamo i “cannucci”. Da qui veniva fuori il “nocchio” che ci si facevano le lenzuola, le camice, tutto..Ad ammollare si portava al fosso, oppure la lasciavano fuori a prendere la “guazza” che mangia il colore e la fa diventare bianca. Questo si faceva dopo che era stata battuta con la macingola…Qui in fondo alla strada ci sono dei campi chiamati le “canepine” perchè li’ si metteva la canapa..Era la terra più fertile e ognuno si coltivava il suo pezzo… La canapa poi bisognava filarla con la conocchia e il fuso..Le donne per farsi venire la saliva per filare mangiavano le “schiance” che chiamavano “paccarelle”..Erano delle mele selvatiche che noi chiamavamo schiance. Le donne facevano le paccarelle e le mettevano a seccare alla finestra. Quando dovevano filare se ne mettevano in bocca una e veniva la saliva…..I fagioli c’erano quelli che chiamavamo della regina che sarebbero i borlotti..C’erano pure quelli dall’occhio nero…”

M. A. di anni 89: “…Si coltivava il grano, la lenticchia, la veccia, la roveglia che è come i piselli; anche il farro si metteva ma poco…La veccia si macinava per le bestie…Il grano andavamo a macinarlo a Castello dove c’era un mulino…Un mulino stava anche a Nocelleto e pure a Valleinfante…Il farro si seminava poco perchè per il farro ci vuole la terra buona…Anche la canapa si coltivava li’ dove c’era la fontana vecchia presso le prime case di Gualdo..Li’ c’erano alcuni appezzamenti di terra dove si metteva la canapa perché c’era l’acqua…Qui però non si poteva macerare perchè non c’era il posto e infatti la nostra canapa era scura perché non era bagnata..Per essere bianca la canapa deve stare nell’acqua…La lasciavamo seccare nel campo e poi si batteva con la macingola….Poi le vecchie la filavano col fuso e la conocchia…”

C. D. di anni 77 racconta: “…Io mi sono arrangiato con qualche vite abbandonata che ho vicino casa e ho fatto tre quintali di mosto…Ci sono ancora viti di vecchie varietà, quelle che si usavano una volta: la “ribona” che era nera, la “galloppa” che era grossa, il “tintarolo” che era piccoletta, il “cimicino” che era pure piccola…Poi c’era la “santamaria” che era grossa e bianca…”

A. A. di anni 74: “…Le coltivazioni qui erano grano, granturco, patate e fagioli… Il grano era il frassineto, c’era quello precoce la roma. L’uva ce n’era in abbondanza e più che vigne erano alberi… La canapa la coltivavano pochi per uso familiare: corde, corredi… Si portava al Fiastra, al Fiastrone, a curare…Ci sono gli ulivi ma non ne sono tanti: più di tutto c’è la varietà coroncina, un po di leccino…”

M. E. di anni 78 racconta: “…C’era tanta uva, delle seguenti varietà: il Vissanello, lo Zibibbo per mangiare, l’uva di Santa Maria era per mangiare, l’uva Canina per il vino, poi ce n’era un tipo nera…”

R. G. di anni 89: “…come piante avevamo i limoni selvatici, poi c’era la “mela renetta” che nascevano spontaneamente senza doverle coltivare. C’era la mela rosa che resiste fino a maggio-giugno, poi c’era il melograno, due tre qualità di fichi, il sorbo, il nocciolo, c’avevamo un filare di uva fragola e lo scianello…”

L. N. di anni 96 racconta: “…Si coltivava un po’ di tutto e avevamo le perticare di legno. Babbo fu il primo a farsi la perticara di ferro… Il grano che si piantava era la “carosella” e sull’aia di mattoni si mettevano le cavallette e ci si faceva passare le vacche sopra, la “tresca”, la “trita” gli si diceva. Poi si levava la paglia e il grano si passava sulle “scolarole” una macchinetta che divideva il grano dalla pula facendogli l’aria. Si raccoglieva almeno 50 quintali all’ettaro. Si chiamavano le “coppe”, cinque coppe era un’ettaro quindi una coppa erano 2.000 merti quadrati… Per la “trita” si usavano due bastoni attaccati con una corda: la “mazzafrusta” gli si diceva…A dieci anni ci mandavano già a lavorare per le campagne Romane come “Guitti” dalla semina alla trebbiatura… Si seminava un po di tutto: ceci, fava, favino… Si coltivava sia la canapa che il lino che ci si facevano le corde, filavano i panni… La canapa si portava a “morga” giù al fosso Salino perchè anche d’estate ci rimanevano dei pantani d’acqua. Dopo c’era una cosa di legno chiamata la “ciaula” che serviva per spaccare la canapa separando il “nicchio” dallo scarto che ci si facevano le corde…”

O. T. di anni 84: “…Si piantava il grano frassineto, il vanziotto e la mentana… Io avevo le macinette di quel povero nonno per macinare il farro però a mio padre non piaceva e non lo piantavamo. Il granoturco era più che altro il nostrano per la polenta e il pane, quell’altro per gli animali si comprava. Con quel granoturco ci si facevano i panetti da cuocere su al forno…C’era la pera di S. Pietro che era quella precoce e la mela rosa, la più preferita, e anche quelle a muso di bue, ma queste non le dovevi mangiare appena raccolte perché legavano i denti, le dovevi fare maturare per un po dopo raccolte. Si conservavano dentro i cestoni con le zampe del granoturco e si mettevano sopra le piante con la paglia sopra. Si mantenevano parecchio…”

M. P. di anni 85: “…Oltre alla canapa e al lino mettevamo il grano, più che altro frassineto, ma anche mentana e carosella. Il granoturco era quello nostrano, per la polenta… Prima si metteva anche il farro, e legumi vari come ceci, fagioli… La fagiolina bianca. Per le bestie si piantava il favino e l’avena…Una volta avevamo una pianta di pere, gli si diceva pere “Spadona”, erano buone. Le mele rosa, prugne, pesche genovesi che venivano grosse, e le scopparole… Per conservare la frutta io la mettevo fuori dentro ad una cesta con la paglia, sopra ad un albero. Ci si mettevano soprattutto le mele…”

M. D. di anni 86: “…C’erano le pere spadone. Si faceva la marmellata con la sapa…”
Per il Comune di Monte Cavallo, L. M. di anni 89 racconta: “…mia madre metteva la canapa e per macerarla si metteva sotto la neve. Si piantava sotto a casa nostra in località Canepina e giù la Valle dove stava il laghetto…Si piantava la lenticchia la cicerchia e la roveglia…”

R. N. di anni 82: “…Le varietà di mele antiche erano: mele rigate, mele rose e le mele campanelle…”

B. O. di anni 84 racconta: “…Il grano si piantava quello tenero, la iervicella, il totaro, l’impero che venne fuori sotto Mussolini. Il granoturco era quello nostrano per la polenta. Io sui campi c’ho messo un “marguttu”, lo spaventapasseri, ma le volpi non le ferma, si mangiano il granturco buono e lasciano quello cattivo… Si coltivava anche la canapa e si tesseva pure. Si metteva in un pezzo di terra buono. Ci facevamo anche le corde per le bestie. Mettevamo anche il lino che serviva per fare i tessuti più pregiati. Dalla canapa ci venivano fuori tre tipi di filature, il “nocchio” per il tessuto, il “pinicchio” per le corde e i sacchi mischiato con il nocchio e la “grasciuleia”.. L’olivo era del tipo carboncella, piantone un po’ più grossa e leccino. Anche i frantoi erano ad acqua e avevano una o due macine. Poi si pressava la sansa che si metteva dentro ai “conci”… L’uva era del tipo malvasia, cimicì, forcese e questa era tutta uva nera insieme alla tinturì, che si chiamava così perché macchiava. Il vino si faceva cotto e qualcuno, ma erano rari, lo facevano crudo… Qualcuno aveva le canale murate che erano più comode, comunque si pigiava l’uva con i piedi, poi si metteva a cuocere. Un po si faceva anche il mosto cotto che si concentrava come una marmellata e si metteva sul pane come dolce…”

A. E. di anni 84: “…le varietà di frutta: fichi Serviglianetti, mele campanella, mele rozze, mele granà, la mela rosa, mele cotogne…”

C. A. di anni 82: “…Varietà d’olivo: la limoncella, il piantone…”

C. P. di anni 89 racconta: “…Quello che più si coltivava era il grano: le varietà ora sono diverse. Allora c’erano delle varietà che non reggevano al vento. Bisognava mettere il grano con la “reschia” e non quello senza reschia perché la reschia lo tiene, altrimenti viene il vento e lo butta giù. Se tu lo mietevi a tempo, bene; se tardavi un giorno, due o tre lo trovavi a terra…C’erano le viti ma ora le ho tolte tutte: erano “alberi”, l’oppio per le “capanne”. Le varietà di uva erano la “ribona”, il verdicchio, il “bottaletto” che è un’uva bianca con poca gradazione…C’erano diverse varietà di mele: la mela rozza, la mela rosa, la mela a muso di bove. Le mele rozze mantenevano fino a tarda primavera, fino a maggio. Si mettevano in mezzo alla paglia. Queste piante sono state tolte quasi tutte quando sono arrivati i trattori perché in mezzo ai campi davano fastidio…”

C. G. di anni 84: “…Prima si piantava il pioppo, (in dialetto l’oppiu). Si metteva la vigna, si metteva il marzuolo, la cicerchia, si metteva tanta roba che serviva per mangiare. Si mettevano i fagioli turchi che erano bianchi, i fagioli a uovo di quaglia o fagioli dall’occhio. Si metteva pure la roveglia, il moco…varietà di mele: mele rosa, le mele cotogne, le rozzette…”

N. E. di anni 85 racconta: “…Si coltivava il grano, un po di granoturco per i maiali… C’erano tutte le qualità di grano: frassineto, mentana, totaro, iervicella, vanziotto, impero… Si metteva anche la cicerchia, le fave, le patate. Noi mettevamo anche la canapa, il lino… La canapa si metteva sulla terra migliore. Il lino si metteva per fare le lenzuola più belle. Babbo faceva i pettini per il telaio. Poi ho imparato anche io…”

G. R. di anni 73: “…Sono cambiate le varietà. Prima si trovava il frassineto che faceva molta paia che prima serviva. C’era anche la iervicella che veniva alto. Poi è stato messo un grano più basso. A Fallerone c’era il mercato della paglia… Si metteva il granoturco, all’epoca si metteva solo quel tipo di granturco per la polenta, era più buono come qualità, ma rendeva meno. C’è qualcuno che può tenere ancora i semi di questo granoturco perché qualcuno lo mette ancora apposta per la polenta. Si piantavano i legumi come i fagioli ad uovo di quaglia, i ceci e la cicerchia, ma poca perché non era speciale, ma cresceva anche negli anni di siccità e nei terreni più poveri. Qualcuno metteva pure la lenticchia. La canapa si metteva e si portava giù al fiume a macerare e con la macenga si sfibrava. I canapini venivano di fuori, soprattutto i cordai dalla parte dell’Abruzzo. Sono venuti fino al ’40, ’45 perché fino al ’50 è stata messa. Se ne piantavano piccoli appezzamenti ad uso familiare per le corde e il corredo…”
B. C. di anni 84 racconta: “…i frutti antichi erano: mele rozzette, mele rosa, mela cotogna, pere collatturi, prugne selvatiche, le prugnolette…”

R. L. di anni 82: “…varietà di frutti antichi: mela cotogna, mela ruzza, muso di bove, mela bianca…”

S. M. di anni 78: “…a Macereto si seminava l’orzetta, la roveia, il moco, la cicerchia…”

B. D. di anni 94: “…il moco si coltivava per darlo ai piccioni, pecore e vacche…il moco che si dava alle bestie si macinava mentre ai piccioni no…noi piantavamo la roveia e la mangiavamo come i piselli…si piantava canapa e lino…le varietà dell’uva: vissanello, ribona, zibibbo…”

M. F. di anni 72: “…Avevamo i seguenti tipi d’uva: lu legnotte, l’uva grossa, l’uva fragola…”

I. A. di anni 92 racconta: “…le sementi antiche erano: i fagioli, i turchi, il fiascone, la regina, i ceci, i piselli erano più piccoli, la fava, il moco per le mucche prima a bagno e poi macinato, il foraggio grego ma non era buono, la rovegna…varietà di frutti antichi: le mele rosa gentile, la mela rozza, le ciliege grognole, le mustarole…”

L. P. di anni 85: “…si piantavano i mochi, la lenticchia, i fagioli tutta la qualità,le patate rosse lunghe, la cicerchia…varieta di frutti antichi: le mele rosa, le mele a muso di bove, le pere si San Pietro, le prugnolette…”

C. C. di anni 85: “…La “crocetta” è un tipo di fieno, di foraggio e c’è quella “quarantina” che si falciava due volte e la “nostrana” una volta sola, ma serviva per il seme…Si piantava il grano “romanella”… Si piantava anche la biada e l’orzetta. La “crocetta” si spulava con la “spularola” e si vendeva il seme…”

P. N. di anni 77: “…A S. Maria Maddalena ci coltivavamo il grano romanella, l’orzo, la biada per gli animali, il “moco” per gli animali, ma non per i maiali. Anche la “roveglia” e la “crocetta”… la crocetta serviva per il fieno e una perte si lasciava il seme… Qua si piantava anche la canapa, ce l’avevamo tutti, anche il lino. A bagnare si portava giu al fosso Fontinelle…Si mettevano tutti e due ed il lino era pregiato per il seme che bolliti serviva per guarire lo stomaco delle bestie, ma anche per fare gli impiastri di semi di lino per le persone contro la tosse, il raffreddore e la febbre…. Io mi ricordo che quando la falciavi ti faceva venire sonno…”

F. T. di anni 80 racconta: “…la canapa si metteva a bagno, si asciugava, si batteva e poi si pettinava…le qualità d’uva erano: il Trebbiano, la Ribona, lu Bottalittu…l’uva che si essiccava per farci i dolci si chiamava l’uva Passerina, si preparava mettendola nel forno…le varietà vecchie d’olivo che ancora possiedo sono: la Rosciola (frutti piccoli) e l’Orbetana (frutti grandi)le varietà delle mele:le Mele a Manico Lungo, le Mele in Pietra. Una pianta di Mele in Pietra si trova vicino al pollaio c’è ancora una pianta vicino al pollaio)…”

M. P. di anni 75 racconta: “…si piantava fino a Campo Maggiore. Le sementi antiche erano: il grano e la romanella. Il raccolto veniva portato con i muli all’Abbazia per essere battuto…le varietà di vino erano: la Malvasia, San Giovese ed il Forcese…”

B. E. di anni 89: “…Si piantava il grano… il frassineto. La canapa si metteva poco….”

C. E. di anni 87: “…La canapa si faceva. Si levavano i maschi e quando era pronta si mettevano al vurgo con le pietre sopra per farle stare sott’acqua. Dopo una quindicina di giorni si toglieva e si metteva ad asciugare. Poi si passava sulla ciagula e poi si filava. I Nocchi erano quella più pulita e la stoppa era quella più scarta. Poi si filava con fuso e conocchia. Per filare e far fare la saliva si mangiavano i fichi secchi. Poi si faceva l’ordito e si tesseva. Per ordire bisognava essere capace. Si compravano i pacchi di cotone e si mettevano su con i cannelli…Si coltivava il granoturco, il grano, le patate nostrane, le biancone, le quarantine un po’ più precoci. Si piantavano i ceci , la cicerchia, i fagioli borlotti, quelli a dente di cavallo bianchi e grossi, i fagioli di Carlo, i gialletti, quelli ad uovo di quaglia. Il granoturco nostrano, quello buono, mica gli si dava il diserbante! I frutti ce n’erano tanti: la mela rozza, li sciangi, la mela rosa, li sfasciabiancati (i biancati erano le manzarde), le pere c’erano quelle di S. Pietro che si facevano prima, c’erano le mele a muso di bue….”

O. R. di anni 79: “…Piantavamo piu che altro grano e foraggio. Il terreno era diviso a metà e si piantava grano e foraggio a rotazione. Si lavorava con le vacche… C’erano tante varietà di grano: il frassineto era quello tradizionalmente più usato, era un pò più tardivo ma fruttava di più… Poi c’era il vanziotto. Il granoturco era quello nostrano, che dava meno resa, ma era buonissimo per la polenta. Prima non era come adesso, non si comprava niente, ma si piantava tutto. Nonno partiva con una cesta d’uova e riportava il baccalà o due sardelle. C’era la mela rosa, e un tipo a muso di bue… L’uva c’era la malvasia, lo cacciumme, lo cimmicie e l’uva rossa. La vigna era tutta alberata perchè si lavorava con le vacche. poi sino venuti i trattori e abbiamo tolto tutto. Il vino lo facevamo tutto cotto… Piantavamo pure la canapa, sempre nello stesso posto, il canaparo. serviva per le corde e per i vestiti… La sera le donne filavano. c’ho ancora i pettini. Prima si toglieva la femmina e il maschio, quando aveva fatto il seme si tagliava e si portava a curare giu al mulino… Poi si batteva con la ciagula e si pettinava. Per fare le corde la portavamo alla cavella, ma volendo poteva venire anche a casa. E le facevano bene. Quella per filare era un po più fina. Avevo fatto anche una macchinetta per filare, ce l’ho ancora…Nonno metteva anche il lino perché il seme era curativo per le bestie che non ruminavano, è più bassetto, ma il procedimento è lo stesso…”
B. L. di anni 93: “…Prima si coltivava il grano, il granoturco, qualcuno il farro… Il grano era del tipo carosella, il frassineto è arrivato dopo, poi c’era quel grano rosso, con la barba rossiccia. Si metteva la selleca, la canapa che poi si batteva con la ciaula e si pettinava con i pettini…”

P. D. di anni 77: “…Maggiormente si seminavano ceci, fagioli anche se pochi, cicerchia. La roveglia qui a Sarnano si seminava poco, si metteva a Acquacanina se ne metteva tanta. Si seminava la roveglia sui Montiori. Prima si metteva il grano, l’orzo, il grano chiamato Romanella ma i cinghiali distruggevano tutto. Si diceva “se piove all’Ascensione ogni spiga prende attenzione” oppure si diceva “maggio ortolano (se piove tutti i giorni, andava bene per l’orto), assai paglia e poco grano” si diceva ortolano se pioveva molto quindi si sarebbe avuto poco grano…”

A. M. di anni 83 racconta: “…Si piantava grano romanella e frasineto, orzetta, ceci, cicerchia, fagioli a occhio di bue…le varietà di frutti antichi: mela rosa, berrettina e la ruzza la mela in pietra…”

E. T. di anni 77 racconta: “…La varietà di uva che si coltivava in questa zona il nome era il “vissanello” che io ce ne ho una vite che ancora fa l’uva…”

M. A. di anni 83: “…Prima si coltivava e ora non si coltiva più la vigna, l’uva. Non si coltiva più sono tanti anni. Io ricordo quando ero giovane e stavo ancora da mamma, avevamo un pezzo di terra dove c’era la vigna, c’erano gli “alberi” e facevamo 20-25 quintali di vino. Per fare il vino avevamo le canale: l’uva si “pistava” la’ dentro poi si metteva dentro le botti di legno. il vino era crudo: fermentava nelle botti fino a gennaio. IL vino cotto lo facevano verso Caldarola: qui non c’era la tradizione…Addietro mettevano la canapa: fino a 1800 metri e ci veniva bella. Nella terra migliore ci mettevano la canapa che serviva per fare i vestiti…C’era la mela ranetta, che era quella che veniva più grande; poi c’era la mela ruzza, che veniva piccola. Di questa ancora c’è qualche pianta. L’uva era di varietà “vissanello”. Qualche vite ancora c’è che è rimasta selvatica vicino a una fratta, ai cespugli di spine. E’ rimasta li’ e campa da sola… Le ciliegie c’erano quelle piccole che vengono da sole e poi c’era la ciliegia grugnola si chiamava. La pianta ancora c’è ma le ciliegie fanno il verme perché non sono curate…”

A. P. di anni 92 racconta: “…Le varietà d’uva che si coltivavano erano la vissanella, lo “scrocchio”…”

R. N. di anni 92: “…gli argini dei seminativi a destra del passo Cattivo verso il Monte Porche. La sistemazione agricola in montagna consisteva nel lasciare ai piedi di ogni campo uno spazio di dodici solchi, questo veniva fatto per far accumulare la terra e non permetterle di scendere a valle. A Panico si seminava il Farro. Il Moco sostituiva il latte all’agnello, la Roveia si dava per far ingrassare il bove tanto che in Toscana si chiama Ingrassabove, e la Cicerchia si usava anche per aumentare il latte alle donne che ne avevano poco…la canapa per farla macerare si metteva d’inverno alle gelate. La canapa si toglieva dalle gelate nel periodo primaverile, quando era diventata bianca…il pascolo delle pecore in montagna garantiva l’ampliamento dei campi falciabili. Il pascolo di fine luglio primi di agosto garantiva la semina delle leguminose. Si mandava in montagna un uomo che tagliava gli ultimi cardi e distribuiva il fiorume (semi che cadevano nel fieno) ai margini dei prati falciabili per conquistare altri spazi…in montagna si allevavano anche le capre e i maiali per questo bisognava avere un po’ di bosco di quercia. Il bosco migliore era a mezzogiorno (sud-est). Le Verziere erano radure dove si piantavano i cavoli per l’inverno…I prati alti dovevano essere falciati prima del 15 agosto e prima di portare via i covoni si dovevano Spigolare. Le semine avevano le Vicende perché il territorio era divisi in più parti, i pascoli alti, i seminativi, i boschi cedui e in basso le Cese. Le Cese erano dei campi in cui si autorizzava il disboscamento per mettervi le viti…”

M. R. di anni 62: “…Anticamente qui si coltivava il grano, la lentichia, il farro, la canapa, l’orzo per farci il caffè. La canapa si metteva nei pezzi di terra più buoni che si chiamavano le canepine. non mi ricordo come si faceva per macerarla ma mi ricordo che per batterla si usava “lu macingolo” che era come una “trocca di legno” che ci mettevano la canapa dentro poi con un altro pezzo di legno la battevano…”

B. F. di anni 69: “…varietà di mele: la mela cotogna, la mele rosa, delle varietà di mele verdi delle quali non ricordo il nome, le mele selvatiche o schianci….”

F. A. di anni 92 racconta: “…Si piantava l’orzo, l’avena, il grano di diversi tipi come il frasineto, quello baffuto chiamato la reatina, ma io non l’ho seminato perché facevo il muratore. Il grano lo portavano qui e poi con la trebbiatrice lo lavoravano…”

F. M. di anni 81: “…Prima i campi che si vedono erano tutte vigne e c’era il Vissanello, il Pecorino che era piccolo e aspro e ci facevano il vino “l’Aspretto di Vallopa”. Il Pecorino si metteva dappertutto, noi gli dicevamo “una piantata”, si potava un albero d’oppio, veniva ripulito e poi ci si piegavano i rami; prima di settembre-ottobre non maturava, per noi Vissanello o Pecorino è la stessa cosa. C’era qualche vite di uva nera. Di vino cotto se ne faceva poco…A Cardosa si piantava il grano, l’orzetta… La roveglia l’abbiamo seminata a Cardosa. da ragazzi andavamo a rubarla per mangiarla fresca come i piselli…La canapa si metteva e ogni famiglia aveva una canapina, non si coltivava sulla montagna ma sempre in questi pezzi di terreno medio bassi. Si piantava , si raccoglieva, poi si facevano tutti mazzi, si metteva a bagno dentro una pozza o nel fiume e poi si stendeva al sole dopo si passava nella macingola e si pettinava…”

M. D. di anni 94: “…La canapa si metteva solo nell’orticello di casa, si faceva seccare e si filava…Facevamo il vino con un tipo d’uva molto piccola che se non sbaglio si chiamava Pecorina, c’era lo “sibito” (zibibbo?) che era un’uva da pasto e poi sempre da pasto c’era l’uva nera…”

R. G. di anni 81: “…Il grano si piantava anche in montagna, veniva riportato giù con le bestie dai punti più scomodi…Si piantava un po’ di tutto granturco, patate, la roveglia se ne piantava poca. Piselli, cannellini, ceci; prima si arava e poi si seminava, si arava a primavera e poi si seminava il grano a maggio, giugno. Gli uomini andavano in transumanza in Maremma e le donne si occupavano dei campi…Le piante da frutto erano: mele rozze , le prugne, i prugnoli, le mele cotogne, ciliegie selvatiche…Di uva c’erano un paio di vigne e mettevano tutti il Vissanello…”

F. A. di anni 90 racconta: “…le sementi antiche erano: il grano, la lenticchia, i mochi, i farchi per mangiare erano come piselli, la roveglia, il farro, il marzone…”

G. E. di anni 68: “…Come frutta antica c’era la mela di San Pietro che era una qualità che maturava molto presto, poi qui da noi sono sparite. C’erano le nespole, poi c’erano le mele cotogne con cui si faceva la sapa. La sapa era fatta con uva, mele cotogne ed altri tipi di mela, senza zucchero infatti era molto amara. Qui noi eravamo grandi produttori di un tipo di mela chiamata “invernarola” poi c’erano le “sfasciabiancate” che sarebbero le mele renette, le mele ruzze che ci sono ancora, la mela rosa. Il sidro non lo facevamo perché c’era il vino che era buono…C’era solo un tipo di pera che si chiamava spadona. La marmellata si faceva con i “grugnali”(bacche di corniolo) che sono come li “strozzacaina” bacche di rosacanina…”

T. I. di anni 93: “…Si mettevano la roveglia, la “lenta” (lenticchia), i mochi per le bestie…Il farro si coltivava a Castelluccio…Le mele che avevamo qui erano le mele “ruzze”…”

A. A. di anni 91: “…Si piantavano: farchi (sono simili ai piselli e facevano i fiori bianchi), cicerchia, lenticchia, la segale,la reveglia, la canapa…Varietà di mele: mele pianelle, mele rozze, mele cotogne, mele rosa..”

F. F. anni 68: “…La reveia si piantava in località Da Monte. La reveia (seme schiacciato) si piantava a primavera e si raccoglieva a agosto, si utilizzava come i fagioli. Si piantavano anche i mochi, i farchi (seme rotondo), la lenticchia, la cicerchia. La reveglia selvatica ancora si trova in montagna…”

D. S. A. anni 78: “…Si seminava a Santa Maria del Chiarino. Il marzuolo si seminava vicino al paese…Mele: cotogna, ruzza, pianella, meloncella, ranetta…Le mele selvatiche si chiamavano schiangi….Le prugne: la verdacchia, la chiappa de monaca, la prugna a piricoca…Pere: la pera della fiera si maturava alla fine d’aprile, la spatona e le pera a campana…Fichi: fellacciani, erano neri…”

C. S. di anni 94: “…A Santa Maria del chiarino si seminava segale, grano e orzetta. Seminavano segala e grano insieme dato che il grano non sempre veniva a causa della neve,la segala resisteva meglio. Si seminava: i farchi (si facevano in minestra), i mochi (erano per le pecore) e la roveia. Si piantava la canapa…”

F. G. di anni 77: “…Si coltivavano: i mochi per i piccioni, i farchi, la roveia in località Da Monte. Queste coltivazioni si facevano in montagna perché avevano bisogno di poche attenzioni. Si coltivava anche il Marzuolo (grano); infatti c’è una località che si chiamava Marzulì… Varietà di mele: la granatona, la ruzza, la rosa, la limoncella (sapeva di limone), la mela cotogna…Una pianta di limoncella me la ricordo sopra Camartina nell’ orto di Santa Maria…Varietà di ciliege: biancole, primacciole (si maturavano prima delle altre nel mese di maggio), le marasche, quelle selvatiche…Pere piccole di San Giovanni erano dette pere mezze si mangiavano il giorno di San Giovanni…Le varietà di susine: chiappe di monaca, pernicù, rusciole…”

M. E. di anni 99: “…I mochi si davano alle pecore o ai piccioni…Il lino pure si coltivava..La mia povera mamma lo metteva dall’altra parte della strada…Era come la canapa, solo più basso e più fino…Si lavorava allo stesso modo solo che poi col lino si facevano gli impiastri…I semi si facevano bollire insieme ai semi di senape e poi si facevano gli impiastri sul petto con una pezza per curare la bronchite, la polmonite…C’erano i fagioli dall’occhio nero che noi chiamavamo le “monachelle”…Di mele c’era la mela ruzza; poi c’era una varietà di pere invernali che chiamavano le pere di Cucchiarò, perché ce l’avevamo noi Cucchiaroni…Ancora ci stanno…C’erano le mele ranette, le pere mezze…Si trovavano le sorbe: si mettevano nella paglia e quando erano diventate marroni te le mangiavi..Però te ne potevi mangiare poche sennò di andare al bagno te lo scordavi…Si mangiavano anche i grugnali che sono fatti tipo oliva ma sono rossi. Si mangiavano così tipo oliva ma sono aspri. E’ una pianta selvatica…I semi di sambuco quando erano maturi si usavano per dare colore al vino…Questo è un certo tipo di sambuco però, perché ne esistono diverse qualità…L’uva si faceva appassire… C’era un tipo di uva, una specie di pizzutello però meno a punta e più bombata, che chiamavamo “uva vaccò” e che si metteva ad appassire dentro i forni dopo che era stato tirato fuori il pane…Si metteva sopra ai fondi dei canestri capovolti e si metteva nei forni per farla appassire. Poi ci facevano lo zibibbo che quando era secco si metteva da parte per fare i dolci, per fare il baccalà…Era come l’uva passa…”

M. U. di anni 74: “…L’orzo perlato, quando stavamo male, era la nostra medicina, si metteva a bollire e poi ci bevevamo l’acqua, era molto rinfrescante…Si faceva anche abbrustolire per farci il caffè d’orzo. Si seminava a primavera. La rovegna la mettevamo ma la mangiavamo poco. Noi mangiavamo più i fagioli, di tante qualità, li mettevamo in mezzo al granturco, si seminavano a maggio, dopo che era nato il granturco…”

C. E. di anni 81: “…il tipo di vino: l’uva pecorina…si coltivava il grano: farineto e il romanino, vicino alla vigna…si piantavano le rape e si mangiava tutto…si andava a Castelluccio di Norcia a piantare la roveglia e l’orzetta per i maiali…frutti antichi: la scopparella e la genovese, sono due tipi di pesche che si maturano a Settembre, durante il periodo dell’uva; altra varietà sono le mele ruzze…”

M. D. di anni 97 racconta: “…Si coltivavano grano, granturco, fieno, patate, fagioli, canapa…Con la canapa si facevano corde, tessuti: si seminava a marzo e si raccoglieva in agosto.Quando si raccoglieva si facevano i fasci e si portavano a “medicare” nei vorghi. I maceratoi, o vurghe, stavano presso Tronto: di Pietro Martire e di Tempesta….Per essere pronta ci volevano 15-20 giorni; poi si tirava fuori si lavava e si faceva asciugare…Poi si portava a casa e si rompeva con la macingola e si ripassava con la cioccola. Poi veniva il canapino che la pettinava. Le corde si facevano invece con i “sammera” ossia quella canapa che si lasciava per il seme..Per filare c’erano i “tuoppe” ossia la canapa più scarta, e i “nuocchie” che erano il fiore della canapa…Con la canapa si faceva tutto quello che serviva per la casa: tessuti, stracci, corde, sacchi…Era un lavoraccio..Vicino ad Ascoli era tutta canapa. La terra ideale per la canapa era quella “risciola” ossia quella più soffice…. L’importanza della canapa era paragonabile a quella del maiale. Con i mazzetti di “cannavucci” si bruciava il maiale…Alcuni coltivavano anche il lino che si faceva come la canapa…Diffusi erano i “mori” ossia i gelsi per i bachi da seta…Qui attorno era pieno di “mori” per i bachi. Parecchi allora lavoravano con i bachi….Qui attorno molti coltivavano il tabacco…La coltivazione del tabacco però era tenuta sotto controllo dalla finanza e ci volevano i locali apposta per seccarlo…Le foglie del tabacco venivano ammollate nel vino cotto poi seccate e arrotolate. Ma questo non si poteva fare perché la Finanza ti contava le foglie..Si faceva solo di nascosto: chi lo coltivava non lo poteva usare…Anticamente si usava il tabacco da fiuto…”

V. L. di anni 77: “…Coltivavamo la canapa per casa che si portava a mettere a mollo nei vorghi. A Venagrande ce n’erano tre…Si coltivava anche farro, cicerchia, veccia, i “cierve”, avena, panico, segale che si metteva per la paglia. Con la paglia di segale si facevano le “pagliarole” ossia i setacci per il grano. Abbiamo messo il lino ma la nostra non era terra da lino…Il lino si pressava e si faceva una specie di balla che veniva venduta…”

M. I. di anni 74 racconta: “…Prima si piantava il tabacco, la canapa, la lenticchia, la cicerchia, i borlotti, la segale, il grano, il granturco, le patate…C’erano le mele di San Pietro che venivano mangiate il giorno di San Giovanni. Poi c’erano i fichi, c’era l’uva malvasia, lu pergolo, la galloppa, lo baccaro, il pagadebbiti, c’era la pera cannella. La marmellata si faceva con il mosto e con le mele…”

F. E. di anni 86: “…Mettevamo la canapa qui ai terreni nostri. Dopo quando è ora si taglia e si mette immezzo all’acqua: “lu vurghe” si chiama. Io mi ricordo che ci veniva il padre di Ginesio a pettinalla: perché a pettinalla non tutti erano bravi. Ci volevano forza e capacità… Per me fare le coperte era facile perché l’ordito me lo preparava mamma che era brava: non tutti erano capaci. Si faceva l’ordito… Si doveva premere e mettere i fili con la navicella, la chiamavano la “grua” e poi c’erano i “pedacci” dove si mettono i piedi. Mamma li avviava, mette su i ricci, e si dovevano mettere su con una maestria. Lei lo faceva sia per noi che per gli altri… Andava anche fuori ad avviare la tela…c’erano i fagioli bianchi, i borlotti. Il farro non si metteva, ma si mettevano i ceci. C’era chi piantava la foglia per fumare( tabacco). Magari la piantava in un piccolo orticello nei boschi, dove non passava nessuno, perché era proibita. Poi seccavano le foglie e le fumavano. Noi facevamo i Bachi. Se il baco era da seme aveva più valore, quello da seta valevano meno… Dipende da come li coltivi: più vivono pochi giorni e più sono sani… Qualche volta li facevamo nascere noi, ma dovevano stare sempre alla stessa temperatura: sennò ce li mandavano loro. Da piccoli gli si doveva dare a mangiare ogni due ore, notte e giorno. Gli si tritavano le foglie fine fine. Poi si addormentavano e bisognava cambiargli il letto. Più gli si dava a mangiare regolare più venivano i bachi sani per fare il seme. Ad un certo punto smettevano di mangiare e diventavano gialli quasi trasparenti. E da lì veniva fuori il filo e noi ci mettevamo come delle scope di “ucci” che sono un po’ spinosi. Loro si attaccavano lì e facevano il baco. Poi si pulivano bene queste scope e si faceva una festa grande. Bisognava raccoglierli prima che bucavano il bozzolo. Noi mandavamo il bozzolo intero e loro sapevano se erano da seme o da seta. Prima prima dicono che c’era chi partiva con la canestra e andava a consegnarli. Noi ci si viveva quasi. Poi papà ci ha preso un premio, un diploma per la qualità…”

S. B. di anni 76: “…Si piantava un tipo di grano quello con cui ora ci si fa la pasta, prima lo chiamavamo la “saravolla” però non c’era la macina a pietra per farne la farina, quindi veniva sbriciolato con una macinetta…”

G. G. di anni 97 racconta: “…Stavamo a mezzadria… coltivavamo il grano, il granturco, il farro… la “sulla” e l’erba medica per le bestie…Il seme della “sulla” si doveva poi portare a macinare a Ponte Maglio. Su c’era un mulino ad acqua…La tresca del grano non me la ricordo ma si faceva…Si piantava anche la canapa e si “medicava” a li “vurghi” giù alle terre delle monache… Giù si piantavano pure le foglie del tabacco… La canapa quando si ricacciava da li “vurghi” si spandeva per farla asciugare. e poi si rompeva con la macingola…Prima si metteva l’uva “melata”, era buona e ci viene buono il vino cotto, poi c’era lu “vacchera” che faceva dei grappoli grossi, la malvasia…Piantavamo lo “zuffrano” (zafferano)… forse lo usavano per dare colore alle pizze di Pasqua….”

V. L. di anni 97: “…Si seminava il foraggio, l’erba medica e la sulla. Poi sono venute fuori dieci qualità. C’era la “gentile rossa”, il “mentana”, il “vanziotto” (grano tenero)… Poi si piantava la fagiolina bianca e quella a uova di quaglia, nana e alta. Si metteva la fava, la cicerchia, il favino. Con la fava “ngreccia” ci si faceva colazione al posto del pane. Il farro “saravolla” ci si faceva tipo la polenta…Il lino e la canapa tanto. Il lino era massimo 60 centimetri la canapa un metro e trenta. Con i semi del lino ci si faceva l’olio e si vendeva per fare le vernici…Con i semi di lino ci si facevano anche gli impacchi quando avevi la polmonite…La canapa si portava verso Appignano a Montecalvo, sopra la collina c’erano tutte pozze che ci cresceva l’acqua. Ci si portavano a medicare la canapa e il lino. Però gli si doveva lasciare il 10%…C’era l’uva vacchero, il cacciò un uva grassa e l’uva longa, queste erano uve bianche. Di uve rosse c’era il sangiovese, la grana, la melana, il granascio. Prima c’erano le capanne e si facevano sull’”albero” , l’”oppio” (è un tipo di acero)… Il giogo per le bestie si faceva con questa pianta, ma era un po “scheggioso”…”

V. V. di anni 81: “…si piantavano gli anici e il farro, ecc…le varietà di mele erano:le mele di San Pietro, le mele rosa, le mele zuzzole o ruzze. Le varietà di pere erano: le pere moscatelle. Le varietà di uva erano: l’uva melata e l’uva picca de gallo…”

T. E. di anni 100: “…Si coltivava il farro. Il farro rende molto ma fa piante alte che si piegano a terra…Si coltivava la cicerchia ma più che altro si macinava per le bestie…Si mettevano i ceci, i fagioli lunghi che facevano i semi neri e i fagioli occhio di quaglia…Si coltivavano canapa e lino. La canapa si è coltivata fino agli anni ’50….Ci si faceva tutta la biancheria…Si seminava e poi si tagliava quando la pianta era “granita”; si facevano tutti mazzetti che dovevano asciugare al sole poi venivano portati al “vorgo” che stava vicino la chiesa di S. Francesco. Era una pozza scavata vicino al torrente: veniva riempito all’occorrenza. La canapa veniva messa nel vorgo con i fasci tutti in fila con sopra tutte pietre per rimanere a fondo. Poi il vorgo veniva riempito d’acqua. La canapa doveva maturare per alcuni giorni, fino a che non si staccavano le fibre, poi veniva tirata fuori, lavata e fatta ancora asciugare al sole. Poi veniva schiacciata con la “macingola” e ripassata con la “spadella” o “cioccula” per separare la fibra dal legno. Fatto questo veniva il “canapino che passava la fibra nei pettini per raffinare la fibra e ottenere quella per filare. Si ottenevano due qualità: “lu nuocchie”, più fine e pregiato e “lu tuoppe” più grossolano. Con “lu nuocchie” si facevano le lenzuola e la biancheria; con “lu tuoppe” si facevano gli strofinacci, i sacchi, le corde. Le corde erano fatte dal funaio (lu curdare). Il nocchio si filava con la “conocchia” e il fuso; poi con il “naspo” si facevano le “fezze” (mannelle); le fezze si facevano bollire con la cenere per sbiancarle e farle diventare morbide (la cenare assorbe la resina della canapa)…Dopodichè con il “filarello” si facevano li “vucina” ossia i cannelli di canne con cui si tesseva; prima di tessere si dovevano fare i cannelli di cotone e si realizzava l’ordito. Fare il tessuto solo di canapa era troppo costoso…C’era tanto lavoro per fare tutto questo…Le foglie di tabacco dovevano essere “infilate”in un filo, appese e seccate. Poi veniva messo nei sacchi e mandato via…C’erano molti alberi di gelso le cui foglie venivano usate per i bachi da seta. Il frutto invece, ossia le more, non era molto usato. Il gelso veniva chiamato il “moro” e stavano soprattutto lungo le strade…”

M. A. di anni 83: “…Il farro si piantava..Si chiamava la “saravolla” e aveva un trattamento particolare..Si raccoglieva e siccome non era molto per non farlo mischiare col grano si batteva a parte su un terrazzo.. Una volta seccato e asciutto bene poi si metteva a bagno…Appena la pellicola esterna si era bagnata si metteva in un recipiente chiamato la “pila” che era un pezzo di tronco scavato da sopra…Poi c’era un maglio di legno e con questo si batteva il farro umido e quello si spellava…Una volta spellato si metteva di nuovo ad asciugare e con la semola invece ci si facevano i cuscini o si dava alle bestie…Si doveva prima “scamare” però…Infine si portava a macinare e si faceva il farro tritato che poi si faceva a polenta…Era buonissimo poi quando si uccideva il maiale si prendeva la testa e ci si faceva il brodo con cui si cuoceva il farro…Qui si coltivavano la canapa, il lino…….Si coltivava il gelso per i bachi da seta….Il grano che si metteva molto e che rendeva si chiamava “Avanzi 8” che era il dottor Avanzi che aveva selezionato l’ottava varietà…Prima di questo c’era una varietà che si chiamava “Rosso gentile” che veniva molto alto…Poi c’era il “Frassineto”, l’Impero, il Roma, il Funo…Si metteva una varietà di orzo che serviva per fare il caffè e che noi chiamavamo “remunn” ossia pulito perchè era senza pula..Poi c’era l’orzola il dialetto “riola”…Si metteva molta avena, la biada per le bestie che erano tante…Per le bestie si metteva anche il favino che però a volte si mangiava per colazione…I fagioli che si coltivavano erano diversi: c’erano i fagioli gialli, i fagioli bianchi e quelli “dall’acqua” che sarebbero i borlotti…Erano detti anche “uovo di quaglia”…C’erano poi quelli con un puntino nero che venivano chiamati fagioli dall’occhio…Quelli gialli erano i più comuni perché ne facevano un po’ di più…I bianchi erano un po’ più raffinati…..Nella zona si piantava anche la cicerchia…”

A. G. di anni 84: “…Si coltivava la canapa dappertutto: si metteva ad ammollare ne “lu vurghe”….Erano tutti fascetti piccoli che si mettevano ad ammollare insieme a quelli di altri proprietari separati da pezzi di legno. Lu vurghe era sul fiume Tesino. Doveva stare in ammollo nell’acqua stagnante per 8-10 giorni poi veniva tirata fuori. I fasci venivano lavati al fiume e portati a casa dove venivano fatti asciugare. Una volta asciutta veniva “acciaccata” con la “macigna” e ripassata con la “ciaula” (cioccola). Poi veniva “lu canapì” che pettinava la fibra ottenuta, prima con un pettine più largo poi più fino: si ottenevano due qualità di canapa, “lu tuoppe” e “lu nuocchie”che era la qualità più fina e sottile. Si doveva poi fare l’ordito: con il “filarello” si preparavano 24 “cannelli” di cotone, che si comprava, con cui poi veniva preparato l’ordito. L’orditoio che era una tavola lunga appesa al muro su cui erano infilati diversi pioli di legno attrverso i quali veniva fatto passare il filo di cotone. Si facevano 14 “canne” di filo…Doveva essere fatto con precisione altrimenti si inciampava…C’era anche chi faceva l’ordito di canapa, “accia accia” che era più bello ancora, ma noi non l’abbiamo fatto mai…Poi tessevamo al telaio: si faceva il “rotolo”…La canapa si filava in inverno con la “conocchia”, al sera nella stalla….La conocchia me l’avevano regalata per il matrimonio: si usava regalarla alle donne quando si sposavano…. Lu nuocchie veniva avvolto alla conocchia e poi si iniziava a far passare le fibre in bocca, inumidite e arrotolate in un “fuso”…Dal fuso il filo veniva passato sull’aspo (o “naspo”) per fare la “fezza”….La canapa era una pianta forte che si è coltivata fino agli anni ’40 poi non si è fatta più: noi non l’abbiamo fatta più dopo che abbiamo cambiato casa e stavamo a “solagna e la canapa vuole la terra umida….La canapa tiene fresco d’estate e caldo d’inverno…Oltre alla canapa si coltivavano: farro (si macinava e ci si faceva la polenta); “melica” per fare le scope; ceci; fagioli “uovo di quaglia” (puntecchiati di rosso ) o fagioli lunghi verdi che si cucinavano come dei maccheroni e venivano conditi con il sugo. Il seme era nero….”

M. I. di anni 95 racconta: “…Questi fagioli sono quelli che si seminavano anche prima…Questi bianchi sono la “fagiolina bianca”…Sono fagioli piccoli piccoli…Poi c’era una varietà che venivano proprio grossi e erano tutti rigati. Erano mezzi marroni, rossi..Erano grossi ma non li ho potuti più trovare…”
A. S. di anni 82: “…La canapa: li chiamavamo “cannavucci”;si tagliavano, si facevano i fasci e si mettevano a bagno a “curare”: quando era “arrivata” si batteva. Dopo che era stata a bagno i cannavucci si “sfilavano” e dopo che era stata “battuta” c’erano gli addetti con i pettini che la pettinavano e facevano la fibra da filare….La canapa si metteva a bagno nel pantanò di Marozzi che noi chiamavamo “ammoia” (il vurgo)….Si metteva anche il lino insieme alla canapa…. Dopo che il canapino l’aveva pettinata si filava con la “conocchia”…Il lino noi lo seminavamo per raccogliere il seme..Era una pianta bellissima con un bel fiore..Si facevano i mazzi e anche si batteva per raccogliere il seme..Il seme si usava soprattutto per le vacche, per fare il “biberone” alle vacche e ai vitelli: se una bestia stava poco bene gli si dava il seme di lino bollito…Gli si dava se stavano poco bene ma anche per farli venire belli, mischiato alla farina di granturco..Alle bestie quando stavano male si dava anche il fieno tagliato fino fino….C’erano tante vigne di uva nera e pecorino: di pecorino ancora c’è qualche vecchia vite abbandonata…Fra le varietà antiche di mele c’erano le mele rosa, le mele di S. Pietro che maturavano per il giorno di S. Pietro il 28 giugno, le mele rozze…Altri frutti erano le “ciorbe”: le piante che ci sono ancora in giro non mettono più i frutti..I mori (gelsi) si usavano per fare le sedie ma anche per i bachi da seta che a casa mia si facevano….”

G. S. di anni 81: “…prima si coltivavano reveglia, lenticchia, cicerchia, farchi ecc. I farchi si davano alle pecore che avevano gli agnelli. I farchi facevano i fiori bianchi, i semi assomigliavano alla lenticchia ma erano rotondi come la reveglia. La reveglia si faceva a minestra come i piselli…prima le varietà di fagioli che si mettevano erano: le uova delle quaglie, la regina bassa (varietà che assomiglia ai borlotti bassi)…”

S. C. di anni 93: “…Si metteva il grano, i mochi per le bestie, i fagioli, le patate. I mochi per gli agnelli, si mettevano a bagno con la farina di granturco, quello che veniva a galla veniva dato agli agnelli. Qualche volta abbiamo piantato anche la lenticchia…”

P. P. di anni 82: “…Si seminava: grano, patate, l’orzo marzarolo, del “frassinese” c’era anche quello rosso…Prima le mele non c’erano quasi per niente, c’erano tutte piante bastarde tipo le “visciole” o le ciliege bastarde…”

A. A. di anni 92: “…Si piantavano i “mochi” si davano ai palombi, ai piccioni ma noi non li mangiavamo, è una pianta molto pesante per essere digerita. Dopo il moco è venuta la fava. C’era la “roveglia”, che si metteva sulla terra scarta, cioè la terra meno buona, era fatta tipo pisello. Piantavamo, 7-8 tipi differenti di fagioli, c’erano i fagioli della regina che avevano l’occhietto bianco, piccoli e rotondi; poi c’erano anche quelli ad uovo di quaglia erano color nocciola. Piantavamo il farro per fare la farina per la polenta…di uva avevamo “la pecorina”…di varietà di mele avevamo le mele cotogne, le mele di San Pietro…”

M. G. di anni 63: “…Si metteva la “roveglia”, la cicerchia, i “ceci pizzuti”. I fagioli dall’occhio, quelli all’uovo di quaglia, mamma né metteva di rossi e neri ma non so come si chiamano. Le patate c’erano pure quelle nere fuori e bianche dentro…Di uva si metteva quella pecorina…”

M. B. di anni 66 racconta: “…Ai Campi di Santa Maria ci “piantavano”..Se ci vai adesso trovi tutte macerie ma li’ vicino ci sono i campi nostri…Ogni anno si ripuliva il campo dai sassi e ci si seminava…Ci si mettevano grano, patate…Si metteva il frassineto…A Foce si faceva anche l’uva, nella zona di fronte alla Madonnetta dove c’erano dei campi da sole…”

I. E. di anni 75: “…I Campi di Santa Maria stanno sopra Foce dove c’è quella strada che sale a destra..Prima quelli di Foce li seminavano…Ci mettevano l’orzo, il moco, anche il grano…Di varietà qui da noi se ne metteva una che si chiamava marzuolo…Il frassineto e un altro tipo con la “rischia” che si chiamava l’ariete…Ce n’era un tipo che veniva più rosso e un tipo che veniva bianco…Era alto…Quando sono uscite le mietitrebbie era troppo alto, era fastidioso e non è stato seminato più…Dopo si metteva il frassineto..La roveglia non si metteva, né i farchi, i ceci, il farro..Mettevamo solo il moco..La segale si metteva..si faceva il pane di segale ma io non me lo ricordo…Il marzuolo si chiamava così perché si poteva seminare fino a marzo…La canapa non si metteva…”

C. A. di anni 86: “…Piantavamo le patate, il grano, l’orzetta, il marzolo, la lenticchia…”

A. B. di anni 73 racconta: “…Qui si coltivava grano, avena, orzola, segala… Fagioli borlotti alti e bassi, ceci. Più che altro però cose per famiglia. Mettevamo anche la canapa a casa mia. Poi si metteva a curare in una buca grande dove si poteva mandare l’acqua, lu vurghe gli dicevamo. Poi si tirava fuori e durante l’invernata si trinciava con la cioccula….”

P. G. di anni 80: “…Si seminavano l’avena, la “secina” (segale) che è come il grano e si usava per le bestie poi con la paglia si coprivano le baracche. Si faceva la canapa….Nei “vurghi” si portava a macerare: il vorgo era una buca dove si ammassavano i fasci di canapa che venivano coperti con delle grosse pietre e poi si riempivano d’acqua. Dopo 8-10 giorni, quando era pronta si tirava fuori e veniva fatta asciugare. Poi doveva essere “acciaccata” con la “macingola” e ripassata con la “cioccola” per essere pulita bene dalla “rischia”. Dopodiché arrivava il canapino che la pettinava con i pettini e otteneva due qualità di fibra: lu “nuocchie” e lu “tuoppe”. Questa veniva poi filata e tessuta dalle donne…In questa zona la principale coltivazione era la vite: c’era chi raccoglieva anche trecento quintali d’uva. C’erano le capanne fatte con gli alberi di “oppio” sui quali si arrampicava la vite. Per potarle tutte ci volevano più di due mesi…Alcune varietà di mele e di frutti anticamente si trovavano ma ora non si trovano più. Ad esempio la mela rosa, la mela rozza, la “scoccia biancata”, le ciliegie maiatiche, castagne, “mori” (gelsi)…”

A. E. di anni 69: “…Le varietà di uva che si mettevano erano l’americana (uva fragola), il vaccaro, la passerina…L’uva americana si lasciava per ultima…Poi quando il vino cominciava a fermentare nella botte ci si buttava dentro una ventina di litri di quest’uva però cruda che gli dava sapore e colore e lo faceva ribollire prima…Il vino cotto altrimenti fermenta ad agosto..Ma se tu ci metti il mosto crudo ribolle prima, fermenta subito…”

C. G. di anni 79: “…Qui prima era tutto coltivato. Si mettevano grano, orzo, orzola, granturco, patate, fagioli di una varietà marrone che chiamavano fagioli “a pozza”, il farro che si macinava con delle piccole macine…Mi ricordo che si metteva anche la canapa che poi si portava a “lu vurghe” che stava dentro al Fosso di Rigo…Lì si portava a curare questa canapa. Però solo alcuni la mettevano la canapa per un uso familiare…Poi le donne, dopo che l’avevi schiacciata, la filavano con la conocchia e ci facevano il panno..Filavano “lu nocchie” che era poco e soprattutto “lu tuoppe”…Di frutti ce n’erano di tutte le qualità: pesche, mele..La mela era quella rosa…La vigna si coltivava, tutti avevano un pezzetto di vigna e qualcuno ce l’ha ancora…C’era una varietà di uva nera che non era montepulciano…”

S. G. di anni 70: “…La canapa si coltivava per fare il filato…Non grosse quantità…A “curare” si portava in campagna, in un fosso dove era stata scavata una vasca nella terra, “lu vurghe”…Poi durante l’inverno, quando era tempo buono, con la “cioccola” si schiacciava…Anch’io l’ho fatto ma ero ancora un bambino e non ce la facevo a romperla con la cioccola. Però di “cannavucci”, cioè le stoppie della canapa ne ho raccolti parecchi perché con quelli si facevano dei fascetti con cui si accendeva il fuoco oppure, quando si faceva il maiale, ci si bruciavano i peli…Di frutti c’era un po’ di tutto. C’era anche l’uva ma non ricordo quali varietà… Poi c’erano mele, pere, pesche, albicocche…Di mele c’erano la mela rosa, la mela rozza..Poi c’era una mela che la chiamavamo “muso di bove” che era un po’ allungata; poi c’era una mela che non era tanto grossa ma era talmente buona e farinosa che ti faceva “leccare l’unghia” e quella non era nemmeno innestata, era nata e cresciuta li’ e a Meschia ce n’era una pianta sola…Poi si è seccata e non c’è stata più…”

M. M. di anni 78: “…i fagioli, le patate, il grano, i mochi, la cicerchia, la roveglia…frutti antichi: le pere cannelline, la mela cotogna, uva spina, le misciglie, erano piccole ciliegie aspre…”

F. R. di anni 71 racconta: “…Si coltivava anice, orzo bianco che si dava ai bambini, “ciervi” per gli animali che sarebbe come un cece piccolo che si dava agli animali, si mettevano la roveglia e la veccia che si seminavano sulle scarpate per non sprecare la terra…I lupini, il farro, la cicerchia, l’avena, la canapa. Lu “vurghe” (maceratoio) stava lungo il Torbibello nelle vicinanze del mulino tra Verdiente e Montemisio dove abitavamo noi. Questa doveva stare otto giorni a mollo poi si metteva ad asciugare. Poi veniva battuta e veniva il canapino con i pettini e faceva i “toppi” e i “nocchi”. Poi si filava e si tesseva. Si tessevano le lenzuola, le camice per gli uomini, i pantaloni con canapa e cotone che si comprava…Le camice erano tessute col cotone…”

G. D. di anni 79: “…piantavamo ceci, fagioli dell’occhio, il farro che si cucinava come la polenta, l’orzola, i piselli e la fava…varietà di mele:mela rosa , mela dura, la mela pianella. La pera cannellina, strozzadonne, more e bacche del moro…”

A. E. di anni 94: “…Si coltivavano soprattutto granturco e fagioli..I più buoni di tutti erano quelli che chiamavano “dall’acqua” che è una specie di borlotto…Si chiamavano anche “uovo di quaglia”…Ce n’era un altro che chiamavano “fagiolo da terra” che si metteva in mezzo alla fava o al granturco..Era lunghetto e aveva a volte una punta nera a volte bianchetta…Poi c’erano quelli tutti bianchi che chiamavano “cannellina”….C’erano anche dei fagioli lunghi che si condivano ma non ricordo come si chiamavano..Il chicco dentro era piccolo piccolo e nero…”

D. C. S. di anni 86: “…Si coltivavano i fagioli, le patate, i ceci, i pomodori. Un anno piantammo anche la fagiolina, quella bianca, e ne raccogliemmo una balla piena… Abbiamo piantato anche il caffè, ma non era come il caffè proprio e nemmeno orzo. Poi lo mischiavamo con il caffè buono. Erano come un fagiolo, poi lo arrostivi e lo mischiavi a quell’altro. Abbiamo piantato anche l’anice. Si metteva anche il farro… Noi non lo piantavamo, ma ce lo regalavano. Si macinava grosso e ci facevamo la polenta. ”

V. V. di anni 81 racconta: “…Per piantare gli ulivi prima non c’erano gli scavatori ma si doveva scavare a mano con la “pala” e il “pico”. Io ho piantato 140 piante da solo. Una volta piantato l’ulivo deve essere “custodito”, “zappato”, potata e gli si deve dare il “grasso” (letame) ogni anno. Ogni anno la pianta deve essere potata altrimenti si “chiude” e diventa un bosco. La varietà di ulivo che si trova adesso è quasi tutto “leccino” che produce un olio più leggero. Prima c’erano altre varietà: c’era il “frantoio”, c’era la “carvogna” e c’era una varietà che faceva un’oliva verde e tenera da “cura” (salamoia). Il “frantoio” e la “carvogna” producono un olio più “pesante” e “piccante”. Se la stagione non è buona l’oliva viene “verminosa”, si ammala della “mosca” contro cui non c’è rimedio. Gli si può dare un po’ di “acqua ramata” ma non gli giova. L’oliva deve essere spremuta appena colta altrimenti si scalda e può ammuffire…Tra gli ulivi si può seminare la fava e altre cose…Tra gli alberi da frutto che prima si trovavano e ora non più c’erano le mele rosa e le pere cannelline. C’erano poi gli oppi dove si avvolgeva la vite per formare la capanna dell’uva. Da alcune viti vecchie a volte si raccoglieva un quintale d’uva. Tra le varietà di uva c’erano il “vaccaro”, che era da pasto, e la “nostrana”, montepulciano, sangiovese…”

F. L. di anni 88: “…Tra la cose che prima si coltivavano e ora non si coltivano più c’erano la cicerchia, il farro che chiamavamo “granturco bianco”, la “melica” per fare le scope, la canapa. La canapa si seminava e poi si doveva mettere un telo bianco per non fare avvicinare gli animali. La pianta di canapa veniva alta alta e poi quando era arrivata si prendeva e si sradicava, si facevano i fasci che si mettevano a bagno nei vurghi. Ce ne era uno vicino casa nostra a Montemoro. Dopo 40 giorni si tirava fuori e si batteva con la macigna e poi con un attrezzo più piccolo per pulirla. Si pettinava poi con i pettini, prima uno grosso poi più piccolo. Si ottenevano tre varietà: una più grossa (lu tuoppe) una media e una più fine (lu nuocchie). Con questo si facevano le lenzuola, con gli altri le corde, gli stracci e altro. si è coltivata fino a dopo la guerra…Qui era una zona di tabacco: faceva delle foglie grandi che poi si appendevano dentro casa con dei chiodi e si facevano asciugare. Poi passavano a ritirarle…Si seminavano la “selleca”, il favino, la veccia, la roveglia per le bestie…I fagioli prima si mettevano in mezzo ai granturchi…”

D. V. F. di anni 84: “…La canapa si seminava poi quando era ora si carpiva a mano, si facevano i fasci e si mettevano ad asciugare in modo che, quando si asciugavano, cadevano le foglie e i semi. Quando era pronta e secca si tagliavano le radici su un ceppo di legno e si portavano i fasci ad ammollare nel “vurgo” dove rimanevano per otto giorni circa. Dopodiché si facevano asciugare e si portavano a casa. Qui venivano schiacciati con la “macingola” e puliti con la “cioccola”. (Il “favello” era un attrezzo formato da due bastoni uniti da una corda che serviva per batter il grano, i fagioli, la fava e altro). Quando era stata ben pulita dal legno ed era rimasta solo la fibra, la canapa si metteva ad asciugare con una corda. Dopodiché veniva il canapino con i pettini per pettinarla. I pettini erano due: uno più grande, il pettine, e la “pettinella” per raffinarla. Si ottenevano tre diverse qualità: il “nocchio”, la più pregiata e fine; il “tuoppe” quella più grossolana; la “rascelenia” che era una via di mezzo. Poi si usavano la “conocchia” e il “fuso” per filare; il “naspo” per fare le “fezze”. Le fezze (mannelle) si devono poi cuocere con la cenere per essere sbiancate. si mettevano in un caldaio uno strato di cenere e uno di fezze e si versava acqua bollente. Infine si passava alla tessitura…”

M. L. di anni 89: “…Una volta si seminava il grano “frassinese” che poi non è stato messo più: era un grano che rimaneva sempre verde fino in ultimo e in un attimo diventava giallo. Era un grano che veniva altissimo e faceva troppa paglia. Altre varietà di grano erano il cosiddetto “valerio” e la “quaterna”. Anche la canapa si metteva tanto e poi non si è messa più. Noi la consegnavamo all’ammasso. Anche qui a Venarotta si seminava canapa e anche tabacco. Infine si facevano i bachi. A casa di mio nonno si facevano e tanto si facevano da Pomponi…Si seminava anche il farro che poi veniva macinato con delle piccole macine apposite…Mio nonno metteva anche l’orzo per fare il caffè, che è una varietà di orzo bianco da caffè…Col farro si faceva una specie di polenta…Si metteva poi la cicerchia che è simile al lupino…”

G. G. di anni 63: “…Prima c’erano diverse varietà di uva: il “vaccaro”, lo zibibbo, la marchigiana, il “mondonico”, il “prievolo”, l’uva fragola…Anticamente qui c’erano molte piante di ciliegie di diverse varietà: “palombine”,”maiatiche” e “uvarole”…”

R. E. di anni 82 racconta: “…Adesso le vigne non ci sono più ma prima c’erano gli “alberi” proprio…C’era il “pecorino”, c’era il “forcese”, l’uva “galloppa” quella nera, la malvasia, la “passerina” che faceva un’uvetta piccola come i semi dei sambuchi però per il vino era ottima…”

G. V. di anni 96: “…(Prima si coltivavano) grano, granturco, patate, biada, cicerchia, cece, tutto si coltivava…Anche la canapa si metteva…Poi si prendeva la lana delle pecore e ci facevano certe lenzuola che durano gli anni…(Per macerarla) si faceva un “vorgo” qui sotto, un pantano, ci si mandava l’acqua e ci si teneva (in ammollo) tanti giorni per farla “sfilacciare”. Poi c’era la “macenga”, un attrezzo di legno mezzo tagliente che gliela mettevi sotto e la “scocciava”… Poi c’erano quelli che con certi pettini la pettinavano e le donne che la filavano..Poi con lo scarto ci facevano altri panni meno buoni..Con l’altra ci facevano le lenzuola che ancora io ce le ho..Ci si sentiva tanto più caldo…”… “Noi altri, quando avevo la tua età, avevamo frutti di tutte le specie: le mele, le “ciorve”, le pere, le nespole che venivano di dicembre…Avevamo le mela rozza, la mela rosa: era gentile, buona e grossa e ne faceva tante e non si potava. Certe piante che facevano i quintali…”

A. F. di anni 81: “L’uva si metteva solo quella per fare il vino, e il vino si faceva solo cotto. C’avevamo le canale poi si cuoceva nel caldaio… Quando la canapa era fiorita si toglieva quella fiorita, che erano i maschi e non erano buoni, si tagliava a mano, si facevano i mazzetti e si mettevano ammollo. noi c’avevamo il posto in campagna dove metterla a macerare. Ci si teneva qualche settimana. Quando sera asciugata si tritava con la “ciagola” e ci si faceva la biancheria… C’era una famiglia che faceva i bachi da seta… C’erano le mele rosa… Noi facevamo sei o sette quintali di grano… Mettevamo anche il granturco per casa. Quando si raccoglieva si portava a casa e si scardozzava….”

V. G. di anni 72: “…Filavamo la canapa e si coltivava pure. Si portava a bagno giù al fosso Carogno … dopo coi pettini si pettinava e ci si faceva il finicchio e il nocchio… Si metteva pure l’orzo di caffè, per fare il caffè. Si brustoliva, poi si macinava e ci si faceva il caffè. Con quello ci si faceva anche l’acqua d’orzo per i bambini e si mischiava con il latte che altrimenti era troppo pesante…”

S. A. di anni 82: “…Noi mettevamo un quintale di grano e te ne faceva cinque o sei. Era il Frassineto o la Iervicella, e veniva alto. C’era anche la varietà Roma, Zanzera. Però era tutto grano alto perché non è come adesso che ci sta quello basso che lo prendi con la metitrebbia, prima bisognava farlo tutto con la falce, poi facevi le “coie”, poi facevi i mucchi chiamati i cavalletti così quando pioveva scolava giù e non si bagnava… -…(su a Capo Tenna, lungo la Valle Lunga ci sono ancora delle piante di vite, di fichi) le noci, le mele, ma questo castello non l’ho sentito mai, però queste piante me le ricordo io perchè da ragazzo andavo a lumache lassù…”

M. A. di anni 76: “…Di canapa se ne metteva, che posso dire, “lo scarico per tutta questa cucina”.. La canapa poi si portava nei “vurghi” che stavano vicino al fiume. Noi ce li avevamo proprio al di la’ dei campi nostri…Le “canepine” stavano anche qui sotto la Forestale…Qui era più comodo..Quelli che la mettevano qui la portavano sotto al ponte, poi si lavava e l’acqua si mandava via…Si è fatta (la canapa) fino a quando io avevo 17-18 anni…Quando facevano il panno per fare le lenzuola poi si portava giù al fosso per farlo sbiancare…Il seme che piantavamo era sempre il nostro che prendevamo da questi maschi (?), i “sammera”….Mi ricordo che da ragazzo mettevamo la cicerchia, lo “gli” (lino). Il lino come la canapa si usava per casa e si lavorava come la canapa…Prima le varietà di grano che si mettevano erano: il “frassineto”, poi quando avevo 15 anni si iniziò a mettere l’”impero”, lo “iervicella” che era una varietà che veniva alto così e con la pioggia si coricava tutto, poi c’era il “san pastore” che invece un po’ si salvava. Il frassineto e lo iervicella invece su 400 cavalletti non c’era una spiga in piedi; con i temporali e la grandine si spianava per terra tanto che si doveva mietere con la falce fienara che con la falciatrice non ce la facevi..Da noi quando la stagione era buona si facevano massimo 200 cavalletti ma era tutta paglia….Noi mettevamo più che altro la fava, perchè la mangiavamo anche noi. Mettevamo un ettaro e mezzo, due di fava. Eravamo 21 persone con venti bestie grosse, i maiali…Mettevamo anche i ceci, i fagioli, le zucche per i maiali. Con le zucche ci si ricavava anche qualche soldo perchè si vendeva il seme che si separava dal resto che si dava ai maiali…”…“Di frutta sul terreno che avevamo noi c’era tutto: le pere rozze che facevano a novembre, le moscatelle, tutti i frutti…Di uva c’era l’uva di “Santa Maria” che faceva quei grappoli grossi con gli acini così, c’era l’uva “galloppa”, il “moscatello francese”, la “passerina”, il “forcese”, il “cimicì” o “cimiciola”.. C’erano ciliege, prugne, di tutto…(Prima non c’erano i filari di viti); avevamo filari di “alberi” che formavano le “capanne”; questi alberi noi ce li avevamo in fila…Dovrebbero essere alberi di “oppio”…”

C. B. di anni 81 racconta: “…Le varietà di olivo, il sardanu la pianta più antica e più buona per l’olio, lu piantò e la carboncella…”
M. G. di anni 90: “…La canapa si coltivava perché quasi tutti i tessuti erano fatti di canapa…Quella si metteva a marzo e quando era pronta si mieteva poi si metteva a seccare. quando era secca si portava giù al fiume a “curare”. Poi la ricacciavi e con la “macenga” la battevi tutta…Si faceva fina fina poi si filava con il “fuso” e la “conocchia”. Con quel filo poi si faceva il panno al telaio..Il panno poi lo portavamo ancora a sbiancare al fiume…Anche il lino si metteva..Il lino era basso così e faceva i semi piccoli..I panni di lino tenevano caldo ma costavano un sacco di soldi…”

S. G. di anni 86: “…prima si metteva “il cecio” il cece, la fagiolina bianca, i fagioli dall’occhio e i fagioli a uova di quaglia…La mela più comune era la mela rosa, poi c’erano anche le mele di San Pietro, le mele a “muso de bove”, le mele granà…di qualità di olivo avevamo il “piantone di Fallerone”, altra qualità era il sargono faceva poco olio ma era il migliore ed il più resistente al freddo…”

M. L. di anni 85 racconta: “…il cece era una varietà che aveva una forma allungata. Si coltivava la sulla…”

M. D. di anni 85: “…si piantava la melleca per fare le scope di casa. La scopa della stalla era fatta con la sanguinella…prima si piantava la cicerchia, i lupini, l’anice, lo zafferano (si metteva nell’orto serviva per dare colore al formaggio), il lino, la canapa, il tabacco…la frutta antica: la mela rosa, la pera cannellina, le pere peccerose, i fichi caprini (erano rigati colarati neri e bianchi si facevano seccare)…”

B. A. di anni 75: “…L’olivo varietà antiche: il piantone di Falerone è una pianta biennale, cioè fruttifica un anno si un anno no, la limoncella (piantone di Mogliano) fruttifica meno ma tutti gli anni. Per il freddo resiste meglio il piantone di Mogliano. Altra varietà d’oliva è la Maglianese e il Sargano. L’oliva del Sargano è piccolissima, ma l’olio è più buono. Il Sargano si secca facilmente con il freddo ma ricaccia altrettanto facilmente…la mela limoncella non sempre fruttifica infatti c’era un detto che diceva: “mela, ciliegia, pera, e fava con l’acqua lega…”

B. E. di anni 84: “…Il grano adatto a fare la paglia era di una varietà particolare che ora non si trova quasi più: si chiamava “carosella” poi sostituito dallo “iervicella” che veniva alto con tanta paglia…Una volta mietuto il grano venivano selezionate le spighe e tagliate in modo che rimaneva solo la paglia. Si facevano le “mazze” di paglia e quando era secca si “stoppiava” ossia tagliava all’altezza dei nodi. Era un lavoro collettivo per il quale si radunavano tante ragazze. Poi c’era una macchinetta per selezionare la paglia a seconda delle dimensioni: la fina, la media e la grande. Si girava a mano. La paglia più grande (artenitura) si portava a vendere per le cannucce; quella fina e media si intrecciavano. Prima di portarla a vendere però doveva essere “insufflata” con lo zolfo per sbiancarla. Si metteva la paglia grossa dentro una cassa un po’ umida; poi si mettva un recipiente di coccio con la brace e lo zolfo. Si accendeva e poi si chiudeva la cassa. In questo modo la paglia si sbiancava…”

A. E. di anni 93 racconta: “…le varietà di mele: mele rose, le mele di San Pietro…”

D. A. N. di anni 84: “…prima si seminava farro e cicerchia…varietà dei frutti antichi: mela rozza, mele renelle, mele de San Pietro, Fichi carassani…”

V. E. di anni 81: “…La campagna era divisa per quinti, si mettevano 2 quinti di grano, 2 di foraggio e 1 granturco. Piantavamo zucche, bietole e fagioli si mettevano in mezzo al granturco, per ogni quinto si metteva una canna a croce. Prima si usava “la pertecara” per arare il campo , che veniva trainata dai buoi, uno dentro e l’altro fuori dal solco. Poi si doveva anche zappare la terra a mano con “la sappa e lo bidente”, tra gli altri attrezzi a mano c’era anche “la face fienara”. Quando si facevano le cavallette, sull’ultima si metteva una croce. Le cavallette si facevano mettendo sotto due cove vicine per farle reggere e poi le altre tre una sopra l’altra, a secondo di quanto si voleva fare alta, di solito era di cinque piani, e alla fine si metteva la croce infilzata in cima, ma non si metteva su tutte le cavallette. Altre sementi oltre ai fagioli c’erano i ceci, la cicerchia. I fagioli erano di una qualità marrone, detti anche i fagioli dell’acqua o l’ovu de quaglia, che si mettevano sugli acquari. Le donne zappavano con il bidente…C’erano le melette di San Pietro che erano piccolette, maturavano prima della mietitura, la mela rosa, la mela a muso de bove, la melagranà si usava per fare il mistrà, per dare un aroma. C’erano anche i fichi pendeli che si mettevano ad essiccare al sole poi si mettevano dentro al forno con i cesti di ginestra, nel forno dovevano rimanere almeno per una giornata…”

M. E. di anni 84: “…Prima c’erano più qualità d’uva: c’era il moscatello, il verdicchio, la malvasia ma non è quella di adesso, poi c’era il pergolo lo chiamavamo. L’uva si piantava sugli alberi d’oppio, non si mettevano a filari, ma a capanne, a alberi…”

V. L. di anni 83: “…Anticamente si seminava la “selleca” (segale) che serviva per dar da mangiare alle bestie. I vecchi raccontavano che la farina di segale si mangiava e si usava per fare il pane così come quella di ghianda: nel tempo antico si mangiava il pane di ghianda… coltivava la canapa per fare tessuti e vestiti per il fabbisogno della casa…… C’erano tre qualità di canapa e di conseguenza di tessuti. “Lu nocchie” era la canapa di migliore qualità con cui si facevano soprattutto le lenzuola; la “grasciulè” era la qualità mediana e serviva per fare vestiti, gli strofinacci o i sacchi per i pagliericci; i “pinicchi” o “tuoppi” erano invece quella più scadente con cui si facevano i sacchi per il grano e le corde, sia i cordini fini sia le corde grosse che usavano i marinai…La canapa si è coltivata fino agli anni ’40…Dopo la guerra è finita…”

B. G. di anni 83: “…Prima c’era il foraggio, il grano il granoturco, l’orzo. Tra il foraggio c’era la sulla, il crocetto e il trifoglio. Il grano c’era il frassineto, la iervicella, la mentana rossa, l’impero… Il grano di adesso rende di più, prima c’era anche l’ancona. Le semenze si mettevano da parte di anno in anno e si ripiantava lo stesso… L’orzo si piantava poco… I fagioli si usavano quelli a uovo di quaglia e quelli neri. C’era anche il fagiolo rampone che si metteva in mezzo al granoturco, come le zucche lunghe per i maiali. La canapa si metteva, il lino un po meno, e si tesseva d’inverno. Si portava poi giu all’indaco, facevamo una parata e ce la ammollavamo. Si raccoglieva ed agosto e poi fine agosto, inizio settembre si portava ad ammollare. Le piante più belle si lasciavano per il seme. Il farro lo metteva poca gente e anche la cicerchia…”

C. M. di anni 78 racconta: “…si coltivava il foraggio, il grano, soprattutto quello da paglia, perchè qui si lavorava la paglia per fare i cappelli. C’era la iervicella, il frasineto, il vanziotto, la carviscia che era una qualità antica ed era buono per intrecciare. Nel quaranta venne il grano impero precoce come la mentana. I migliori per la paglia erano i primi e soprattutto questa carviscia. Con la parte superiore del grano ci si faceva la paglia per i cappelli, quella sotto si chiamava stoppio e ci si facevano le cannucce o i ventaglie per il fuoco…C’erano vari tipi di legumi, come i fagioli quarantini, il cece che si metteva in mezzo al granturco come le bietole per i maiali… La canapa si metteva qui e ci si facevano le corde e la filavano per farci la biancheria per i corredi delle donne…l’uva c’era del tipo Gaucciu, l’uva moglia che è un tipo rosso ma non tinge, la santa maria, il cannaiolo che era nera e serviva per dare colore, la malvasia romana e nostrana… Noi c’abbiamo il piantone di Fallerone e il piantone di Moiano che sono due tipi di olivo della zona e c’è il sargano che è l’olivo maschio, quello che i vivai chiamano il pendolino…”

S. G. di anni 73: “…prima si metteva soprattutto grano e foraggio: il grano c’era l’impero, il frassineto, la iervicella per la paglia, per farci i cappelli…Si metteva anche il mais nostrano perche le stagioni erano più piovose e non occorreva irrigare. C’erano tutti i tipi di frutti, la mela rosa, la mantovana rotonda e grossa. C’era la pera di S. Pietro che si faceva d’agosto. Poi la barbabietola da zucchero…”
P. A. di anni 82: “…Si piantava principalmente il grano e il foraggio per le stalle, che erano una risorsa per la campagna. Il grano era del tipo del Vanziotto, la Carosella, Frassineto, L’impero, Littorio, la Iervicella che si usava per la treccia con la paia. Si metteva pure la canapa e l’ho messa pure io quando stavo vicino all’acqua… Il granturco era quello nostrano, buono per fare la polenta…”

S. D. di anni 73: “…Più o meno si continua a coltivare le stesse cose di prima. Orzo, grano tenero del tipo Impero. Ma il grano non s’è ammalato mai, adesso se non lo tratti s’ammala. io penso che è anche una questione di sementi. Prima c’era il corbello e ripiantavi la stessa qualità di grano che avevi messo l’anno prima. Adesso ogni anno lo devi ricomprare. Allora lo devi trattare, ma è due o tre anni che succede questa cosa… Prima c’era la iervicella per la paglia, perchè qua è zona di cappelli, anche il frassineto… Col pezzo più grosso della paglia ci facevano le cannucce e il resto lo usavano per intrecciare i cappelli… Si metteva anche il granturco per la polenta, il nostrano, poi è venuto quello a dente di cavallo, rende di più ma non è buono da mangiare. Io mi ricordo anche la canapa e come si lavorava…”

S. O. di anni 93: “…Olivo: mazzarello de Falerone…”

C. M. di anni 75: “…Seminavamo il grano Carosella, perché faceva la paglia bella, lunga, fina e uguale da capo a coda che serviva per intrecciare i cappelli. Poi si metteva il frassineto e la iervicella, che fruttava un po’ di più. Il vanziotto si metteva poco perché rendeva di più ma era basso e non serviva per intrecciare. La parte bassa del grano si chiamava lo “stoppiò” e ci si facevano le cannucce. Qua lavoravano tutti con la paglia da fine estate in poi. Le trecce erano di diversi tipi e si lavoravano fino a tredici fili di paia. Queste trecce le filavano e ci facevano i cappelli. Adesso vengono dalla Cina, ci mettono il marchio e li rivendono. Ora fanno i cappelli di stoffa… Si metteva il granoturco nostrano che serviva per la polenta. C’erano i fagioli quarantina che erano marroni e ne faceva tanti, ma erano più scorzosi. c’era la fagiolina bianca, quelli a uovo di quaglia che erano tipo i borlotti di adesso e quelli ad occhio nero… Prima prima magari mettevano un po’ di canapa per fare le corde, ma poca. Si metteva l’uva moglia, il cacciù (bianca e nera), la santa maria e si piantavano a alberi, sugli oppi, non a filari. Sulle piante l’uva rende di più ed è più buona, poi per coltivare con i trattori si sono fatti i filari…”

M. G. di anni 61: “…Si piantava la iervicella per la paglia. gli si dovevano levare le spighe e ricapare la paglia buona dallo stoppone, che serviva per fare le cannucce o una treccia più grossa. Poi si vendevano ai grossisti a 120 lire a pezza… Più che altro c’erano le mele rosa, venivano belle senza dargli niente, adesso se non le tratti ti si rovina tutto… C’era la meletta di S. Pietro e la pera che maturava d’agosto e quella d’ottobre…”

B. F. di anni 79 racconta: “…le sementi antiche erano: la canapa, la cicerchia, il lino, la lenticchia, la sellaca (segale), la viuncella (la rafia )…le varietà dei frutti antichi sono: le mele di San Pietro, per conservarle bene si devono mettere al buio; la pera cannella e la mela cotogna che si usavano per il profumo o per la marmellata…”

C. M. di anni 88: “…si seminavano i fagioli a occhio di pernice, la fagiolina, la lenticchia, la bietola, il granturco, la cicerchia e i ceci…”

C. G. di anni 85: “…Anticamente si coltivava la cicerchia, la segale. Il seme della segale si dava a mangiare alle bestie; la paglia serviva per coprire la tettoia delle capanne, delle baracche per gli attrezzi e dei fienili….Si metteva il lino e soprattutto la canapa per fare tessuti, corde e altro. Si portava ad ammollare al “vorgo”, cioè al maceratoio, che sta presso il fiume…Quando usciva dal vorgo doveva essere asciugata e poi “acciaccata” con le macigne che ancora si trovano… Le corde le faceva il “canapino” che passava a pettinare la canapa con i pettini di ferro e servivano per i buoi e il carro. Noi eravamo tre sorelle e per questo abbiamo filato e tessuto. I panni ottenuti al telaio dovevano poi essere sbiancati al fiume…”

F. A. di anni 82: “…Si coltivava il granturco e in mezzo al granturco si mettevano i legumi: ceci, fagioli, cicerchia….La cicerchia è un legume come il cece che si mangiava come gli altri…Una cosa che si coltivava allora e ora non si coltiva più è la canapa: si metteva perchè in casa c’erano delle ragazze….Si faceva una buca, si riempiva d’acqua, e si metteva la canapa nell’acqua a macerare. Poi si tirava fuori e si batteva per togliere le “scorze” e ottenere la fibra. Dopo la guerra la canapa è finita…”

S. A. di anni 93: “…si piantavano la canapa, il lino, la lenticchia, il cece, la rapa…i frutti antichi erano: mele ruzze, mele bastarde che non si rovinano mai…”

C. G. di anni 64 racconta: “…Prima qui si coltivavano le patate tante…Qui ci vivevano con le patate: era la coltura principale perché d’inverno servivano sia per i maiali, sia per le pecore, sia per le persone…Se ne producevano tante e erano pure buone…Poi si metteva il grano che serviva per casa. Le varietà erano la “rieta” come la chiamavano, il romano che aveva la “rischia”, c’era il marzuolo che si metteva a marzo…Si metteva poi il moco che aveva la piantina che assomigliava a quella della lenticchia. Si dava alle pecore, alle capre e qualche volta veniva falciato come fieno quando stava a maturazione ma prima che si seccasse altrimenti si apriva… Qualche volta qualcuno metteva la cicerchia oppure i fagioli..C’era una varietà bianca come un confetto e una nera… Poi si mettevano i pomodori per fare la conserva…Il granturco si metteva per mangiare , per la polenta.. Quello in eccesso si dava alle bestie….Anche la canapa si metteva, si è messa fino agli anni ’50. Noi abbiamo un campo laggiù che si chiama “I canapà”….Una volta raccolta si metteva nei fossi: qui c’era una pozza con l’acqua di una sorgente e si metteva a macerare li’ dentro..Quando era macerata per un po’ di tempo si tirava fuori, si faceva seccare e poi con la “macenga” che era un attrezzo di lenno con dei denti che si incassavano la spezzavano e separavano la fibra…Poi la filavano e la tessevano. Erano autosufficienti…Le piante le ha piantate Rosi..C’è pure una mandorla. Le noci le abbiamo tagliate..C’è delle mele rosa…”

M. U. di anni 85: “…Di varietà di grano prima ce n’erano molte di più… C’erano il frassineto, l’arieta, il marzuolo, l’orzetta, la iervicella..Si mettevano patate, barbabietole per i maiali e le pecore…Di fieno si metteva la crocetta…Di erba medica si metteva la pesarese che sarebbe il trifoglio…Anche la canapa si metteva e serviva per fare il corredo delle donne…”

S. P. di anni 76: “…Prima si coltivava più di adesso…Si coltivava grano che prima era alto, non era come adesso. a volte se veniva un temporale andava tutto per terra..Le varietà erano: lo iervicella; poi arrivò un’altra varietà un po’ più basso, il gentil rosso; il frassineto; il marzuolo…Si metteva la segale, tanta, che era adatta per dar da mangiare ai maialetti..Con la paglia poi ci si facevano le pareti e i tetti dei fienili.Si pettinava e poi ci si facevano i fienili: si facevano tutti mazzetti legati e poi si mettevano uno appresso all’altro per fare la copertura dei fienili…Poi si metteva l’avena parecchia sempre per le bestie…In mezzo alla segale si metteva la lenticchia in modo che non andava per terra. La lenticchia si metteva in mezzo alla segale perché si aggrappava a queste piante e non andava per terra. Si sosteneva con la segale che è dura e è difficile che va per terra. E’ alta due metri e si piega poi torna a posto. Si seminava a “spaglio” come il grano…In mezzo si metteva questa lenticchia in modo che non andava per terra. Per separarle poi quando si mieteva la segale con la falce a mano la lenticchia si sfilava e si metteva da parte..Si metteva poi su un lenzuolo, si metteva al sole e quando era asciutta si separavano i chicchi…La segale non è che si trebbiava, perché non si poteva trebbiare, ma si batteva con un bastone, anzi due bastoni legati con una corda…si batteva sopra un lenzuolo o una coperta per far cadere i chicchi, poi quello che rimaneva si passava con il “corvello”. Di questo ce n’erano di due tipi: uno per togliere la roba più grossa e uno per quella più fina…Si coltivava la cicerchia che è una specie di legume e si mangiava..La patata, i fagioli che mia madre chiamava con l’occhietto, oppure quelli a uovo di quaglia…Si metteva la canapa e c’erano i “vurghi” apposta dove si “curava”..La canapa quando era matura si tagliava, si facevano dei fascetti e si portava in questo pozzo dove c’era l’acqua..Uno stava qui dentro e un’altro vicino al mulino..Poi dopo che era stata una quindicina di giorni in cura si cacciava e si metteva attorno a un muro per asciugarla. Quando era asciutta si prendeva la “macenga” e si schiacciava..Rimaneva la fibra con tutti pezzi di legno attaccati..Poi questa veniva pettinata col pettine e la “pettinella”…L’uva che c’era prima era di varietà diverse. C’era la malvasia, il vaccaro che era grossa, il forcese, il pecorino che era buono, il tostarello, il verdicchio, il cimicì che era delicato, il moscatello..Le viti che sono state messe dopo non hanno più fatto l’uva buona perchè non matura bene..Quelle invece erano già ambientate qui e facevano tanta uva…C’erano gli “alberi” per fare le capanne…”

P. R. di anni 80: “…(La canapa) c’erano i posti dove si metteva e veniva solo in quei posti…Le “canapine” erano da quella parte verso il fiume dove c’era la terra sabbiosa..Per “invurgarla” c’era un fosso dove l’acqua c’era sempre: si deviava e si faceva un grosso pozzo dove si mandava l’acqua e ci si metteva a macerare la canapa…Poi quando era arrivata si faceva asciugare e poi si “macengava”…Più in alto di qui non si coltivava…La canapa veniva solo in alcuni posti..Se la mettevi qui non ci faceva….La canapa era una risorsa perché ci facevano tutto: la biancheria, i sacchi, gli indumenti, le corde…Si metteva la cicerchia, il moco che serviva per i piccioni e per gli agnelli che gli faceva bene; si metteva la segala per i maialetti, il farro io non l’ho messo mai ma so che si metteva; il grano era la iervicella, il frassineto, il marzuolo che si poteva piantare tardi e si andava a comprare a Castelluccio…La mela di San Pietro ormai non si trova più; la mela a muso di bue io ce l’ho una pianta . Mi è rimasta solo quella e si sta seccando…Ho anche le mele rosa che però non fanno quasi mai…C’era la mela rozza che mi piaceva tanto…Le pere ci sono queste di San Pietro…Di uva c’ho l’uva fragola che c’è sempre stata..Poi c’erano il pecorino, il forcese, la malvasia, la vissana, il vaccaro che qui chiamiamo uva di Santa Maria che fa quegli acini grossi…Le varietà dell’uva c’erano quasi tutte. il morettone, il san giovese…Il morettone è da tavola… Io ancora però c’ho gli alberi, le capanne che nessuno ce l’ha più…Io finché posso salire sulla scala…Tra i filari e gli alberi c’è una differenza enorme…Il vino viene più sostanzioso…”

A. A. di anni 75: “…le sementi antiche erano: Grano romanella e frasineto orzetta, ceci, cicerchia, fagioli a occhio di bue…varietà dei frutti antichi: mela rosa, berrettina e la ruzza la mela di S.Pietro…”

C. P. di anni 85: “…Si coltivano il grano delle varietà frassineto, virgilio, vanziotto, iervicella e torrenova. Erano le qualità che si trovavano. Quello che rendeva di più era il vanziotto e terranova. Il granturco era un tipo nostrano, che si usava per la polenta, prima che uscisse quello americano per gli animali. Noi ce ne abbiamo qualche pianta del nostrano. I fagioli erano i quagliaroli, quelli a uova di quaglia, quello a occhio nero, la fagiolina quella biancha e cannellini. Chi aveva le figlie femmine metteva la canapa nei terreni più grassi e buoni che si chiamavano i canapari. Si è piantata ancora verso il ’60. Si portava a morga a S. Tomasso si faceva un buco e ci si mandava l’acqua… Ci si teneva una ventina di giorni. Poi si cacciava, si passava sulla macenga e poi si pettinava. Ho pettinato anche io con il pettine per sgrossarla e la pettinella per raffinarla. Poi le donne la tessevano… Ci si facevano anche le corde… I bachi da seta li facevano; si consegnavano a Comunanza dove c’era una ditta che li ritirava. Qualcuno metteva il tabacco di nascosto nei boschi… Si doveva mettere a macerare sotto il letame a strati… Il grano si spandeva sull’aia poi con le bestie si girava intorno e pestava. Poi c’erano i corvelli per separare il grano che separavano anche quello più bello da quello per la semina. Il “Mazzangolo” era un bastone lungo con infondo un altro bastone legato per taverso e serviva per battere il grano ma soprattutto la “Sellaca”, la segale, per la paglia che serviva per fare le capanne. Il seme erano per le bestie, ma c’era anche chi ci faceva il pane che si usava anche per curarsi. Sulla segale ci faceva anche la “carvugna”,(un fungo) che faceva venire la farina scura: un periodo ci fu anche sul grano… Si raccoglieva tutto a mano con la falcetta…”

S. E. di anni 84: “…Qui noi coltivavamo la segale, l’orzo, il grano, il granoturco. La segale e l’orzo si usavano per le bestie… Noi c’avevamo un setaccio tipo “corvello” ma con la tela fina e ci passava la farina di segale: col fiore della farina ci faceva la pizza, il resto si dava alle bestie…La paglia era molto lunga. Si puliva con il rastrello e rimaneva solo lo stelo e si usava per coprire le capanne intorno, tipo fienili fatti di legno e intorno ci si mettevano questi “Manni” di (paglia di) segale. L’orzo era molto più piccolo e c’era l’orzo “maschio” per fare il caffè. Mamma lo abbrustoliva con lo scaldaletto di rame sul fuoco. Poi si macinava e ci si faceva il caffè. Il grano c’era di parecchie varietà: il frassineto, il virgilio, poi è venuto quello “iervicella”. L’originale, il più antico era il frassineto, faceva delle spighe lunghe; (di semente vecchia) c’era anche il “gentil rosso”. Dopo sono venuti gli altri grani moderni. Si sceglievano le spighe migliori e si mettevano da parte i semi. Si trebbiava per prima e si metteva da parte. Ora non si trovano più questi tipi di grano. Era un grano che veniva molto alto e le piogge lo piegavano facilmente. Poi è venuto questo moderno che è molto più basso e resistente alle piogge e tutti l’hanno scelto. I fagioli erano quelli a uovo di quaglia. Si mettevano le patate. Qualcuno metteva la cicerchia, ma cresce più in alto… La canapa si metteva e la tessevano. Si portava qua sotto al “vurgu”, è un grosso pantano che si riempiva d’acqua. La canapa si metteva li per curarla, si diceva, e si teneva li per una quindicina di giorni. Poi si faceva asciugare e con un’affare di legno, “lu macingu” si triturava e si facevano tutti cumoli di questa canapa. Poi con un pettine di ferro la pulivano bene e le vecchie la filavano con il “filetto”, fatto di fuso e conocchia. Poi col telaio si tesseva la biancheria. Il lino non si metteva…”

M. N. di anni 82 racconta: “…si piantava soprattutto grano, granoturco e foraggio. Facevamo anche sui duecento quintali di uva, ma eravamo a mezzadria e per noi ce ne rimaneva poca, considerando anche che parte la vendevamo alle cantine. Passavano anche a raccogliere gli acini dell’uva e poi d’inverno ci portava l’olio per le lume. Il grano era il frassineto, poi la mentana, il bò. Il granturco era quello nostrano. L’uva c’era la malvasia, il verdicchio, la cereciola, lo cacciù, il forcese: ma veniva un vino con tutta quest’uva! … L’uva veniva meglio perché cresceva sugli alberi. Con l’oppio, l’albero dove cresceva l’uva, ci si facevano i gioghi, i ciocchi…avevamo anche tante piante di frutti, ma erano selvatiche e i frutti erano bastardi, non quelli innestati…”

M. S. di anni 93: “…il Sargano é una pianta d’oliva bastarda. L’ olio del Sargano è buono ma é più difficile da ripulire, é acerbo e ne fa poco…”

C. R. G. di anni 91: “…le sementi antiche erano: il cece, la fagiolina, i fagioli neri, i ceci pizzuti…l’uva bassa, quella che non veniva maritata con l’albero, si faceva con i fili, era alta 70 cm non di più. Per moltiplicarla si piantava un ramo per terra e dopo un anno, a primavera si tirava fuori e si ripiantava, dopo due anni fruttificava…Le varieta dell’uva erano: lo pampalò, lo force, lo pergolo, la malvasia, lo civì…”

G. M. di anni 94 racconta: “…La canapa l’ho piantata si! Lo spiegavo che era una cosa bella, anche il lino. Babbo piantava la canapa e dopo ce la dovevamo portare giù a lu vurghe. Quando era matura la tiravamo fuori e si passava sulla macinga. Poi si pettinava… C’erano due o tre pettini, uno più grosso per sgrossare e fare i “Pinicchi”, poi si passava su un pettine più piccolo e veniva fuori il “Nocchio” per filare. I “Pinicchi” servivano per fare un tessuto più grosso. Oppure si usava anche il “nocchio” per l’ordito e i pinicchi per la trama… i pinicchi servivano anche per fare i sacchi per la farina, e anche la fodera per i pagliaricci, le corde. Quando si filavano ferivano le labbra. Invece il nocchio veniva fino fino… Quando si filava la saliva non bastava, ma le nostre mamme seccavano la frutta d’estate, facevano le “paccucce” di mele, fichi, prugne, e si mengiavano per far venire la saliva… Una volta filata la canapa si tesseva e bisognava fare i cannelli di canne, si dovevano fare tutti uguali. Con le canne più piccoli si facevano i cannellini. Quelli più grossi servivano per l’ordito e si facevano con il cotone. Io ho tessuto anche lana e lana partendo direttamente dalle pecore su in montagna. Su dieci pecore bianche ci si metteva la lana di una pecora nera: veniva un grigio bellissimo. Questo tessuto si chiama “saia”. Questi cannelli grossi si dovevano sistemare su un tavolo col filarello… quando è finita questa operazione si deve passare sul telaio dove ci stanno i “licci”… Poi deve passare sul pettine che è quello che batte. C’era un ferro e si infilava tra un ferro e l’altro e si montava su un rotolo grosso….”
N. P. di anni 90: “…sementi antiche:cece, cicerchia, lenticchia, fagioli…le varietà dei frutti antichi: mele rose, mela di San Pietro… fra mela e mela si metteva la paglia e si lasciava sempre fuori per farle conservare…”
D. G. C. di anni 90: “…prima si seminavano:granoturco, grano il fieno, cece, cicerchia, canapa, lino, patate, rape…lu vaccaru era un tipo di uva…”

P. M. di anni 84: “…Prima si coltivavano lo “glì” cioè il lino e la canapa: si coltivavano per fare le corde, le lenzuola. La canapa si è coltivata fino a cinquanta anni fa. Quando era matura la canapa si “carpiva”, si facevano tutti mazzetti che venivano alzati diritti per asciugare al sole. Quando era asciutta si “sbatteva” per far cadere le foglie e si portava nei “vurghi” per “curarla”. I vurghi erano delle grosse buche che venivano riempite di acqua e dove la canapa veniva fatta macerare. Quando era pronta si tirava fuori, si lavava, si faceva asciugare e si “acciaccava” con la “macigna”. Poi venivano i canapini che la pettinavano e facevano “li nocchi” e la “rascelenia”. Le donne poi la filavano con la “conocchia” e il fuso e poi la tessevano al telaio. La conocchia era fatta di legno di nocello o con la canna…Il lino invece si vendeva senza essere lavorato…Si coltivavano la “selleca” (segale), la cicerchia, il cece…Tra i frutti antichi c’erano le “ciorve”(sorbi), le nespole, le mele cotogne. Le mele cotogne si mettevano nel mistrà…Nel vino cotto si facevano cuocere insieme al vino poi si mangiavano le mele…”

A. V. di anni 88: “…Si coltivava il grano , il granoturco, la fava, la selleca… i fagioli c’erano quelli ad uovo di quaglia. La canapa e si filava, anche la lana… ci si facevano anche le corde per gli animali. Il grano si falciava a mano e si facevano i cavalletti, poi si faceva un mucchio sull’aia e veniva la metitrebbia a macchinare. Prima della trebbia ci si faceva camminare sopra gli animali, la tresca. A capofila, quando si mieteva, si chiamava la Caporana, era lei che organizzava il lavoro…”

P. F. di anni 86: “…bene o male si piantava quello che si pianta adesso: grano, granoturco. In più si metteva anche la canapa. La mela c’era solo quella rosa. L’uva era quella San Giovese e il vino si faceva sempre cotto. Noi c’avevamo la caldaia murata e le canale di mattoni che andava nel capitello e da li si portava alla caldaia. C’era chi lo faceva scendere fino ad un terzo. Poi si metteva nelle botti da 10, 15 quintali…Andavamo fino a Castelluccio a mietere, e si carpiva a mano..lassù mettevano anche la cicerchia. Ma andavamo anche a Montegallo…”

D. G. A. di anni 82: “…le varieta di fagioli erano: fagiolù, uova di quaglia, fagioli neri. Si piantavano: cicerchia, cece, sedana, vinicchia, melica per le scope, rape, fava, piselli e cavoli…varietà di frutti:mele ruzze, mele rosse, mele romane, mele melonie, i fichi cori, i fichi penneri si seccavano sul forno, le pere cannelline, pere coscie d’inverno e le pere nane…”

C. C. di anni 85: “…La “crocetta” è un tipo di fieno, di foraggio e c’è quella “quarantina” che si falciava due volte e la “nostrana” una volta sola, ma serviva per il seme…
Si piantava il grano “romanella”… Si piantava anche la biada e l’orzetta. La “crocetta” si spulava con la “spularola” e si vendeva il seme…”.

P. N. di anni 77: “…A S. Maria Maddalena ci coltivavamo il grano romanella, l’orzo, la biada per gli animali, il “moco” per gli animali, ma non per i maiali. Anche la “roveglia” e la “crocetta”… la crocetta serviva per il fieno e una parte si lasciava il seme… Qua si piantava anche la canapa, ce l’avevamo tutti, anche il lino. A bagnare si portava giù al fosso Fontinelle… Si mettevano tutti e due ed il lino era pregiato per il seme che bolliti serviva per guarire lo stomaco delle bestie, ma anche per fare gli impiastri di semi di lino per le persone contro la tosse, il raffreddore e la febbre… Io mi ricordo che quando la falciavi ti faceva venire sonno…”.

I Saperi Tradizionali Come Scienze Del Territorio

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